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Il pentito svela affari della cosca sulla mafia dei boschi; Il collaboratore di Petronà ha iniziato a cantare: «Il responsabile della montagna è il boss di Mesoraca»
PETRONÀ – Il boss di Mesoraca, Mario Donato Ferrazzo, detta legge anche nella Sila catanzarese. È lui il «responsabile della montagna». Gli Arena di Isola Capo Rizzuto comandano, invece, nel capoluogo calabrese, ma essendo stati duramente colpiti da arresti e condanne a raccogliere estorsioni mandano picciotti della montagna, che si muovono sotto la loro egida. È la nuova geografia mafiosa che si ridisegna dinanzi agli inquirenti grazie a un nuovo pentito, Domenico Colosimo di Petronà, detto “’Ndrina”. Il dato di fondo è che le cosche del Crotonese spadroneggiano nella limitrofa provincia di Catanzaro.
IL BOSS DELLA MONTAGNA
Sarebbe stato il boss Ferrazzo, infatti, a dare «l’incarico» a Colosimo di raccogliere le estorsioni nei centri di Taverna, Magisano, Albi e Zagarise. Un “incarico” che Colosimo avrebbe ricevuto insieme a Mario Gigliotti, anche lui di Petronà, e a Pasquale Scorza di Taverna. Una delle prime “cantate” del nuovo collaboratore di giustizia, ex “azionista” della cosca Carpino, è andata in scena dinanzi alla pm della Dda di Catanzaro Veronica Calcagno. Dal racconto del pentito, emerge che il «responsabile della montagna» sarebbe Ferrazzo, che ormai si muove su una sedia a rotelle. Per questo ora abita al primo piano della sua abitazione di Mesoraca, ricorda il pentito nel descrivere la riunione in cui avvenne una sorta di spartizione delle estorsioni.
Secondo la versione di Colosimo, arrestato nel settembre scorso nell’operazione Karpanthos, condotta dai carabinieri contro le cosche della Presila, Scorza ha un’impresa edile e per questo «chiudeva lui le estorsioni con la ditta e poi i soldi li portava a Ferrazzo». Il boss di Mesoraca provvedeva poi a distribuire percentuali ai referenti mafiosi dei vari paesi. «Su Cerva i soldi li mandava ad Antonio Iervasi, su Belcastro a Gigi Pane, a Marcedusa a Carletto o ai Ferraro». A Petronà, in particolare, il paese di “’Ndrina”, il denaro veniva diviso tra le famiglie Carpino e Bubbo.
Alcune estorsioni le avrebbe commesse in prima persona proprio il pentito. Come quella ai danni dell’impresa di Pietro Fiore Catizzone, che conduce lavori edili e stradali. I soldi – cifre da 1500 a 3000 euro – glieli portava l’imprenditore a Catanzaro. Tutte le altre ditte, invece, sarebbero state contattate da Scorza. Ma alla fine anche Colosimo doveva consegnare i soldi a Ferrazzo.
Sessantamila euro all’anno, raccoglieva Ferrazzo, e li distribuiva a Pasqua, Natale e Ferragosto in tranche di 10mila euro alla volta. Non erano grosse cifre, «i soldi della montagna».
Ferrazzo faceva pure il prezzo delle castagne. «C’è sempre stata una disputa tra noi e Mesoraca, perché loro cercavano di comprarle a meno, poi le vendevano a Napoli a molto di più, invece noi ci dovevano accontentare».
IL RACKET NEL CAPOLUOGO
Poi c’erano le estorsioni a Catanzaro, e a quanto pare là comandano gli Arena. Colosimo conosce diversi imprenditori. «Un buon 60 per cento paga quelli di Isola». Agli inquirenti ha fatto nomi di titolari di ditte di mattoni e di calcestruzzi. «Da un anno a questa parte» sarebbe stato il suo coindagato Mario Gigliotti, uno dei plenipotenziari dei Carpino di Petronà, a raccogliere estorsioni a Catanzaro “per conto” degli Arena, ora che di loro «non c’è nessuno», nel senso che i pezzi grossi della cosca isolitana sono detenuti. «Gigliotti alle imprese che conosce su Catanzaro garantisce protezione e se c’è da portare qualche ambasciata a Isola lo fa lui». Sempre Gigliotti avrebbe proposto a Colosimo di affiancarlo a un ragazzo “robusto”, un giovanotto di 35 anni di Gagliano, nel compimento delle estorsioni a Catanzaro.
RETROSCENA PER DUE OMICIDI
Luce, forse, sul movente connesso all’uccisione dell’imprenditore Santo Gigliotti a Sorbo San Basile, nel 2016. «Andava dalle imprese che avevano ottenuto appalti e imponeva la fornitura di cemento, era uno che non dava conto di quello che si prendeva». E per essere “favorito” spendeva i nomi di Franco Gentile e Pino Arena, esponenti di vertice della potente cosca di Isola, «senza il consenso loro». A Sorbo San Basile, l’anno dopo, fu ucciso anche l’imprenditore Tommaso Guzzetti. «I lavori in Sila li aveva tutti lui o se non li aveva lui li faceva prendere a chi voleva lui». E «dopo la sua morte si è preso tutto Ferrazzo».
MANI SU BOSCHI, EOLICO, RIFIUTI
Ma il pentito racconta anche l’organigramma della cosca Carpino di Petronà: quelli che partecipavano a riunioni in cui si discuteva di appalti erano Mario Gigliotti, Giuseppe Rocca, Carmine Brescia, Giuseppe Bianco. L’accordo per la pax con i Bubbo prevedeva la spartizione delle estorsioni al 50 per cento ma poi non andò più bene. E si decise che «i boschi se li vedevano i Bubbo mentre i lavori edili se li vedevano i Carpino». Ma le frizioni sarebbero insorte proprio di recente perché Filippo Bubbo avrebbe riscosso proventi estorsivi da una ditta che sta realizzando un parco eolico a Petronà.
A Petronà, poi, gli appalti boschivi se li spartiscono tre ditte, che «si accordano sulle offerte da fare in busta e poi Filippo Bubbo prende una percentuale del 10, 15, 20 per cento». Il pentito ironizza sullo scioglimento per mafia del Comune del 2017. «È stato commissariato il Comune di Petronà qualche anno fa e mi sono stupito che non abbiano trovato nulla, perché per me pure un cieco se ne sarebbe accorto di questa suddivisione dei lavori boschivi».
Idem per il ciclo dei rifiuti. «La ditta della spazzatura se la gestiscono i Bubbo, assumono le persone, alcuni sono stati arrestati nell’operazione».
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