Alfonso Mannolo
3 minuti per la letturaCUTRO – Si era appropriato di un immobile a Botricello per appartarsi in intimità con le sue amanti, tra cui qualche ragazza dell’Est a cui aveva trovato un posto di lavoro nei bar della zona. Per quattro anni, il presunto boss Alfonso Mannolo avrebbe utilizzato gratuitamente lo stabile, ingenerando in Roberto Pisano, il proprietario, uno stato di “prostrazione”, come è detto nel capo d’accusa contestato nelle carte dell’inchiesta che ha portato all’operazione “Jonica” contro il clan da lui capeggiato.
Tant’è che quando i finanzieri sono andati da lui si è sentito “liberato”, dopo un perdurante stato di disagio per le continue vessazioni ed angherie subite, con tanto di minacce di morte se provava a obiettare qualcosa o a chiedere la formalizzazione di un fitto con la sottoscrizione di un canone di locazione.
«Sai chi sono io? Come cazzo ti permetti a parlarmi così? Tu lo sai con chi stai parlando?». E ancora: «Bastardo e cornuto, io ti faccio ammazzare a te e tutta la famiglia tua…». Soltanto un anno dopo l’arresto di Mannolo, nel maggio 2020, la vittima si decide a denunciare.
Mannolo aveva sistematicamente preteso la consegna delle chiavi dell’appartamento, da lui utilizzato come alcova, senza corrispondere alcunché, neanche a titolo di rimborso delle spese vive. E Pisano avrebbe più volte cercato di persuadere bonariamente il boss a regolarizzare la situazione, quantomeno accollandosi le spese delle utenze ma Mannolo aveva sempre tergiversato, fino a quando, nell’estate 2018, oramai esasperato, la vittima aveva osato riferire non intendeva più sottostare alle sue pretese. A quel punto Mannolo si sarebbe visibilmente adirato, facendo espressamente leva sulla sua fama mafiosa.
Da quel momento in poi, Pisano non aveva avuto più il coraggio di opporre rimostranze di sorta a Mannolo che, fino al suo arresto, aveva continuato a utilizzare a suo piacimento l’appartamento senza fornire alcun corrispettivo. Tutto era iniziato nel 2015, quando Pisano venne contattato telefonicamente da un amico che ha una macelleria nelle vicinanze dell’appartamento. Era a conoscenza del fatto che Pisano voleva affittarlo e lo avvisava che una ragazza era interessata.
«Arrivai lì – ricorda Pisano a colloquio con gli inquirenti – e trovai effettivamente una ragazza di origini dell’est Europa in compagnia di un’altra persona che riconobbi immediatamente essere Alfonso Mannolo. Stupito dalla presenza di quest’ultimo rimasi perplesso. Iniziò a parlare il signor Alfonso, il quale mi chiese se lo avevo riconosciuto. Naturalmente risposi di sì. Senza indugio mi disse che l’appartamento serviva alla ragazza in sua compagnia che definiva sua amica. Mi spiegò anche che la ragazza doveva lavorare presso un bar di Botricello. Per tale ragione mi chiese se potevo fittarle l’appartamento. Concordammo verbalmente un prezzo di 150 euro mensili che da quanto compresi avrebbe dovuto pagare la ragazza in quanto occupante dell’immobile».
Pisano in realtà non vide mai un euro. E a distanza di 15 giorni la ragazza ritornò da lui e gli riconsegnò le chiavi giustificandosi che non poteva mantenere l’appartamento in quanto non aveva trovato lavoro.
Mannolo, invece, si ripresentò e chiese nuovamente la disponibilità dell’appartamento. «Mi disse che gli serviva in quanto doveva incontrare una donna e voleva rimanere in intimità. Cercai di dissuaderlo. Gli dissi che l’appartamento lo stavo per fittare e che avendo speso dei soldi intendevo metterlo a reddito. Si risentì palesemente. Già in quel primo incontro mi fece capire che non accettava rifiuto. In quella occasione non mi minacciò in modo esplicito ma fu perentorio sul fatto che gli avrei dovuto dare l’appartamento. La frase che usò fu: “ma tu lo sai chi sono io?”».
La sindrome del marchese del Grillo è costata una nuova misura in carcere al boss ultraottantenne, che proprio di recente ha fatto dichiarazioni spontanee nel processo Malapianta brandendo un’immagine del Crocifisso e annunciando che non “tradirà” mai Gesù Cristo (LEGGI).
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