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CATANZARO – Tre persone sono state arrestate dagli agenti della Questura di Roma e militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza in esecuzione a un’ordinanza di custodia cautelare, emessa dal Gip su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia della Capitale, nei confronti di Umberto Romagnoli, sua figlia Francesca e il “luogotenente” Fabrizio Profenna, per i reati di usura, estorsione e abusivo esercizio del credito.
Accanto ai due uomini, emerge la figura di Francesca Romagnoli, per la quale sono stati disposti gli arresti domiciliari. La donna, oltre ad aver fattivamente partecipato ad alcuni episodi di usura, è la compagna di Bruno Gallace, primogenito del più noto Giuseppe Antonio, pregiudicato per associazione mafiosa e traffico internazionale di stupefacenti (oggi defunto), e fratello di Vincenzo, esponente di vertice dell’omonima cosca calabrese di Guardavalle (Catanzaro), da anni stanziata sul litorale romano, soprattutto tra Nettuno e Anzio.
Gli investigatori, coordinati dalla Dda, hanno ricostruito numerosi rapporti usurari gestiti dai Romagnoli, che, nel caso di mancata o ritardata restituzione del denaro, estorcevano, unitamente a Profenna, con minacce e violenza, i crediti che vantavano dalle vittime. Emblematiche appaiono le parole dette da Umberto Romagnoli: «Io te pio a bastonate»; «non è cattiveria, però devi fare la persona seria»; «io i soldi che c’ho me li sò fatti con l’anni de galera non me li hanno regalati a me», «a me quelli grossi mi piacciono perché fate il botto quando cascate».
L’operatività dei Gallace come locale di ‘ndrangheta in provincia di Roma è stata giudizialmente sancita dalla Corte di Appello di Roma che con la sentenza del giugno 2018 ha confermato e inasprito le condanne per associazione mafiosa comminate in primo grado dal Tribunale di Velletri a diversi esponenti della cosca. Proprio il legame tra i Gallace e i Romagnoli sarebbe stato talvolta rimarcato da Umberto Romagnoli per conferire maggiore forza intimidatoria alle proprie minacce.
L’organizzazione imponeva pagamenti settimanali per il rientro del debito, applicando tassi di interesse pari al 40% mensile per prestiti fino a 5.000 euro. Oltre tale importo si “accontentavano” del 10% mensile, ma, in questo caso, il pagamento era a “capitale fermo”, in quanto le rate non decurtavano il capitale iniziale. Una vittima, ad esempio, per un prestito di 80.000 euro, è stata costretta a pagare 8.000 euro al mese senza che l’importo iniziale venisse ridotto nel tempo. Per estinguere il debito, infatti, l’usurato era tenuto a corrispondere l’intera somma presa a prestito più una rata. In caso di ritardi nei pagamenti, poi, venivano applicate “multe” fino all’intero importo della rata non corrisposta.
La perfetta sinergia tra il personale della Polizia di Stato e della Guardia di Finanza, armonizzati dalla regia della Direzione Distrettuale Antimafia di Roma, ha permesso di smantellare definitivamente l’agguerrito sodalizio, liberando dal giogo dell’usura molte famiglie della Capitale, dove operavano, in prevalenza, i tre arrestati.
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