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CATANZARO – Una «holding che non perde occasione per arricchirsi», riuscendo a «contaminare qualsiasi pezzo della società lasciato senza un presidio e pervadendo tutto il territorio nazionale». La ‘ndrangheta conquista un potere sempre più pervasivo, riuscendo a dialogare con chiunque e radicandosi sul territorio con una presenza capillare, come dimostrano le mappe che indicano le cosche attive sul territorio calabrese. Una crescita che guarda, però, fuori dal territorio nazionale.
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A ricostruire le dinamiche della criminalità organizzata è stato il responsabile della sezione operativa della Direzione investigativa antimafia catanzarese, il vicequestore Giuseppe Maria Emiddio. Arrivato da poco alla guida della sezione, il vicequestore ha incontrato i giornalisti per fare il punto sull’attività svolta e sui risultati conseguiti che sono contenuti nella tradizionale relazione della Dia, con particolare attenzione al distretto della Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri.
«Abbiamo registrato la presenza di “locali” in ogni regione – ha evidenziato – anche in quelle dove fino a poco tempo fa non venivano prese nemmeno in considerazione». Una capacità di infiltrazione molto elevata, al punto che la stessa relazione della Dia diventa «uno spaccato in work in progress che deve tenere conto anche di nuovi reati per guadagnare di più».
Nel vorticoso giro di affari messo in piedi dalla ‘ndrangheta, la Dia ha riscontrato una capacità di «specializzarsi per creare una ‘lavanderia’ con fatturazioni false, società intestate a prestanomi e tutti quegli elementi che possono servire per ripulire il denaro frutto delle attività illecite». Affari che, secondo quanto emerso nelle varie indagini, «vengono portati a termine anche al di fuori del territorio italiano, proprio perché così è possibile fare sparire i soldi».
In una ‘ndrangheta in continua evoluzione che non è solo arcaiche tradizioni, assumono un ruolo rilevante anche le donne che si occupano delle persone in carcere e portano avanti gli affari della cosca. Una espansione che, ovviamente, non lascia indifferente la pubblica amministrazione: «Riscontriamo un legame tra associazione criminale e pubblica amministrazione – ha detto Emiddio – che non è scevra da condizionamenti».
Per contrastare questa continua ascesa, il vicequestore ha ribadito la necessità di una collaborazione proficua da parte della popolazione: «Non c’è una forte collaborazione della cittadinanza – ha dichiarato Emiddio – come se ci fosse una sorta di abitudine che va sradicata perché altrimenti la guerra non può essere vinta. Non si può pensare di delegare solo le forze dell’ordine».
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Nella relazione della Dia sono state analizzate le dinamiche che riguardano le province di Catanzaro, Crotone, Cosenza e Vibo Valentia, prendendo in esame le varie cosche attive sul territorio e le operazioni di contrasto portate a termine tra gennaio e giugno dello scorso anno.
Nuove leve ed equilibri nel Catanzarese
Per quanto riguarda la provincia di Catanzaro, le inchieste hanno permesso di registrare «una sorta di staffetta generazionale, una “rigenerazione” forzata, causata dal venir meno di capi e affiliati di rilievo decimati dagli arresti». Ad aggiungere preoccupazione c’è anche un mutamento negli equilibri: «Ad avanzare silenziosamente sullo scenario criminale operante nel territorio compreso tra la costa ionica e la “montagna” della Presila Catanzarese e Crotonese – afferma la Dia – cognomi importanti della ‘ndrangheta storica che cercano di consolidare la propria presenza colmando un vuoto apparente». Nel comprensorio di Lamezia Terme, invece, «le cosche hanno ancora una volta evidenziato la capacità di proiettare i propri interessi criminali anche fuori regione».
Lo strapotere dei Mancuso nel Vibonese
La Dia ha segnalato come il Vibonese continui «a costituire territorio di riferimento» per la famiglia Mancuso di Limbadi. La potente cosca, secondo la relazione, «si avvale di una serie di fidate consorterie satellite, vantando solide e consolidate alleanze con le cosche del Reggino, in particolare quelle operanti nel territorio ricadente nella Piana di Gioia Tauro».
A Cosenza «collusioni istituzionali»
Per raggiungere i propri obiettivi le cosche attive nel Cosentino «ricorrono anche ad azioni collusive con soggetti istituzionali». E’ questo il passaggio più critico della relazione nell’analisi della provincia di Cosenza. «In particolare il capoluogo – evidenzia la Dia – si caratterizza per la presenza e la costante operatività delle cosche Lanzino – Pattucci, Perna – Cicero, Abbruzzese e Rango – Zingari».
I Grande Aracri punto di riferimento nel Crotonese
Nel periodo preso in esame dalla relazione, «il territorio crotonese non ha evidenziato mutamenti significativi nella mappatura delle famiglie ‘ndranghetiste, che vede confermata l’egemonia della cosca Grande Aracri, al vertice del locale di Cutro, da sempre punto di riferimento delle altre cosche crotonesi e delle province limitrofe, potendo peraltro vantare proiezioni operative particolarmente agguerrite nel Nord Italia».
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