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Il fotografo Dino Serrao, da Badolato all’Australia con i Dino moment oggi ha 4 milioni di follower e gira il mondo per i suoi scatti


Cerca il mondo attraverso i volti che fotografa, è un instancabile globetrotter che con gentilezza vince ogni resistenza, persino del più introverso dei suoi soggetti, pur di catturare le immagini capaci di raccontare le loro storie, insieme intime e universali. Si chiama Dino Serrao, è un fotografo originario di Badolato e, dopo aver lasciato la Calabria per una carriera da manager nella ristorazione in Australia, ha rinunciato a denaro e gratificazioni per concedere alla sua vocazione creativa di reclamare lo spazio di comunicazione che da sempre cercava.

Abbiamo raggiunto il fotografo Dino Serrao telefonicamente, perché adesso è in Norvegia a esplorare il grande Nord attraverso la gente che incontra sul suo percorso e, in un italiano talvolta in debito dei termini esatti per la lunga permanenza all’estero, ci ha raccontato come è riuscito ad arrivare ai suoi 4 milioni di follower con un progetto che punta a ricongiungere l’essenza delle persone con la loro immagine. Proprio i suoi follower hanno scelto il nome “Dino moment” per sintetizzare la connessione emotiva che si crea con i soggetti sconosciuti che l’artista ritrae. Perché da fotografo ha uno sguardo chirurgico Dino Serrao, sceglie tra i mille volti che ogni giorno si incontrano distrattamente e ne riconosce il potenziale, ma soprattutto ha il desiderio di lasciare una traccia aiutando gli altri a vedere il proprio valore.

Dino la sua storia inizia in Australia dove ha raggiunto un tipo di successo che non rispondeva ai suoi sogni. Vuole raccontarcelo?

«Ho preso questa decisione perché volevo sondare le mie potenzialità anche a costo di abbandonare amici e familiari. In Australia ho tentato di trovare qualcosa di vicino al mondo della fotografia, ma non è stato facile per il visto lavorativo valido un solo anno e ricordo la terribile sensazione di essermi trovato con solo 400 dollari in tasca. Ho fatto il lavapiatti e ho imparato molto del mondo della ristorazione, poi con il tempo sono diventato il general manager di 3 grandi ristoranti con 150 dipendenti sotto di me. Però ho sempre avuto questa passione mai sopita: l’idea di un Dino-artista, di un Dino-fotografo con l’aspirazione di creare un impatto a livello mondiale. Stavo facendo carriera nella ristorazione, avevo soldi, macchina, una bella casa, ma sentivo che quella vita non mi apparteneva perché non mi lasciava niente di significativo.»

Quindi ha maturato nel tempo la decisione di lasciare tutto e lanciarsi nel mondo della fotografia o è stata una scelta d’impulso?

«Direi entrambe le cose. Ho sempre avuto questa passione per la fotografia e sin dal 2004 ho maturato l’interesse verso i volti delle persone, con le loro espressioni uniche che già da sole raccontano tanto. Il sistema lavorativo mi spingeva a cercare di dare sempre di più e mi sono accorto che stavo contribuendo a creare l’impero di qualcun altro. Poi un giorno, esattamente alle 4 del mattino, ho mandato un messaggio al mio datore di lavoro dicendo che avrei lasciato. Sentivo che avevo qualcosa di più da offrire. Potevo utilizzare le energie che avevo dentro per fare altro. Pulsava dentro di me un cuore d’artista.»

Come ha costruito questa sua nuova vita da fotografo Dino Serrao?

«Sono rimasto 2 mesi senza lavoro, ma ho avuto il tempo di creare il concept del mio progetto che piano piano è evoluto e ha preso piede sempre di più, diventando un fenomeno grandissimo che mai mi sarei aspettato. Comunque, in quel momento ho preso in mano una macchina fotografica economica e ho iniziato a fermare la gente per strada e farle fotografie mentre un amico mi riprendeva durante tutta la conversazione. A lui sembrava una cosa strana ma funzionò. Dopo i primi video pubblicati su tik tok, con grande sorpresa, ho visto che spopolavano sul web. Poi, i piccoli brand mi hanno contattato per i primi lavori da fotografo e content creator e in meno di un anno ho iniziato a vivere di questo.»

Com’è iniziato invece questo suo vagabondare artistico?

«Mi sono accorto che cominciavo ad avere richieste da diverse parti del mondo non solo di brand ma anche da compagnie turistiche o persino ministeri del Turismo che volevano portare a loro servizio questa mia visione. Poi è arrivato il covid e non volevo correre il rischio di rimanere bloccato in Australia. Ho deciso di avvicinarmi alla mia famiglia e quindi all’Italia, ma era zona rossa e sono andato in Norvegia per vedere una delle cose che sognavo da sempre: l’aurora boreale.»

Il suo approccio è sempre molto autentico e persino audace (nella sfumatura più italiana del termine), ma è riuscito a domare anche la leggendaria freddezza scandinava?

«Molti mi dicevano che in Norvegia non sarei riuscito a fare ciò che facevo in Australia; in realtà ho scoperto che, in parte proprio grazie al mio approccio amichevole, si trattava di un mito tutto da sfatare e sono riuscito a trovare un posto anche nel cuore di tantissimi norvegesi. In effetti, nel giro di un anno sono stato invitato persino nel più celebre dei talk show della tv norvegese.»

Sono proprio tutti disponibili a farsi fotografare o talvolta la cultura di un paese interrompe questo dialogo artistico?

«Diciamo che su 5 persone che riesco a fotografare in una giornata uno mi dice di no. Quasi sempre sono di fretta e non possono fermarsi, altre volte è solo una questione di privacy. Indipendentemente dal paese in cui mi trovo mi accorgo che molto spesso è un rifiuto mentale perché pensiamo di non essere abbastanza validi o belli. Talvolta un no si trasforma in un sì quando chiedo come mai non vogliono essere fotografati e con il dialogo riesco a farli vedere attraverso i miei occhi quando spiego loro che li trovo bellissimi e interessanti. A quel punto abbassano la guardia, entriamo in connessione e tutto si trasforma in una magia.»

Questo è proprio il cuore del suo progetto.

«Si io fotografo le persone “ordinarie” per far capire quanto siano unici indipendentemente da chi sono, dal lavoro che fanno, da dove provengono, dal colore della loro pelle. Nulla di tutto ciò mi interessa perché ciascuno di noi è incredibile già così com’è. Non sono solo fotografie perché attraverso i ritratti le persone imparano a percepirsi in modo diverso e io voglio abbattere quella voce che ci dice: “io non sono abbastanza”.»

Sul suo cammino ha incontrato anche l’amore.

«Alle Isole Lofoten, dov’ero andato per un lavoro, ho conosciuto Vanita che adesso è la mia partner di vita e anche partner in crime che mi aiuta filmando il “dietro le quinte” dei miei servizi, realizza il montaggio dei video e segue tutti i passaggi. La cosa pazzesca è che, anche se lei viene dall’Argentina, le sue origini sono proprio calabresi. Insieme siamo stati negli Stati Uniti, a Cipro, in Islanda, a Dubai, in India, Nepal e tanti altri luoghi.»

Ci dica qual è uno dei paesi che l’ha maggiormente colpita.

«Direi che il Bhutan è uno tra quelli che mi ha più sorpreso. È uno dei posti più belli che ho visitato, in effetti è considerata la Svizzera dell’India, è un posto coloratissimo e davvero meraviglioso. Ha un concetto di vita bellissimo e con Vanita abbiamo avuto il privilegio di uscire nella guida ufficiale del Bhutan realizzata dal ministero del Turismo. Poi, abbiamo scoperto che anche la regina conosceva il nostro lavoro e vuole incontrarci. Io, però, spero voglia concederci anche l’onore di farsi fotografare.»

Cosa ci dice del suo rapporto con la Calabria?

«Io torno in Calabria periodicamente, a Badolato c’è mio padre. La Calabria è bellissima e solo una volta che sono andato in giro per il mondo, più mi sono allontanato più mi sono reso conto di quanto questa regione sia uno dei luoghi più belli in assoluto. Ci penso spesso e credo sia grazie al calabrese dentro di me se sono riuscito ad avere successo, perché abbiamo dei valori bellissimi, un calore e un modo di connetterci con le persone che non è comune. Di mio padre invece ho scoperto solo dopo molto tempo che anche lui era un artista; perciò, anche l’artista che è in me lo devo a lui e quindi a questa terra.»

C’è qualche ricordo della Calabria con il quale ha un particolare legame?

«Ho questo ricordo di quando ero piccolo: mia nonna che lavorava il suo orto e tutto quello che raccoglieva lo regalava al vicinato ma anche ai turisti o chi si avvicinava passando per caso. E anche mio padre, che lavorava presso gli uffici comunali, si faceva in quattro pur di aiutare le persone. Questo modo di approcciarmi alla gente viene proprio dal fatto di essere nato in Calabria e da tutto ciò che mi ha trasmesso la mia famiglia: noi diamo tanto senza aspettarci nulla in cambio».

La Calabria ha già intercettato il suo talento?

«Ancora non è accaduto, sono sempre in relazione con il borgo da cui provengo e ho sempre avuto intenzione di fare qualcosa proprio a Badolato, spero che questa sia anche l’occasione per riconnettermi con la mia terra dal punto di vista lavorativo. Forse non sono “arrivato” subito in Italia probabilmente perché tutti i miei “Dino moment” sono in inglese, ma mi manca tantissimo parlare la mia lingua e poi la Calabria ha dei volti incredibili tutti da raccontare.»

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