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A Washington lo chiamavano “the fixer” (letteralmente il risolutore, in pratica il faccendiere). Jim Messina, chiare origini italiane, nel 2012 era Chief of Staff di Barack Obama e in quel ruolo ha cambiato la storia delle campagne elettorali americane e non solo, basando la vittoriosa campagna di rielezione di Obama sull’analisi dei Big Data. Peccato che in Italia nessun politico a quel tempo si fosse accorto di un così importante cambiamento nella conduzione delle campagne elettorali. Allora solo qualche giornale ne parlò e da noi la propaganda dei partiti ha continuato a basarsi su manifesti, spot televisivi e galoppini. Eppure tutti i commentatori sono stati unanimi: analizzando i dati degli elettori americani, i loro profili sui social network e il loro orientamento politico, lo staff guidato da Jim Messina contribuì in maniera determinante a portare Obama di nuovo alla vittoria mostrando come gli algoritmi di data mining possono essere più efficaci per vincere le elezioni degli spot televisivi e di altre tecniche ormai vetuste. Il motto di Messina era «We have the math. They have the myth.» («Noi abbiamo la matematica, loro hanno il mito.»)
Adesso sembra che Matteo Renzi si sia convinto dell’utilità dei Big Data per vincere il referendum sulla riforma costituzionale e le successive elezioni e ha chiamato Jim Messina come suo consulente per farsi aiutare. Del prossimo referendum, Renzi ne ha fatto una questione personale: «Se lo perdo lascio la politica.» e quindi non vuole certo perdere la partita.
Adesso Messina è Presidente e CEO del Messina Group, una società che ha sede a Washington a cinque isolati soltanto dalla Casa Bianca, e si occupa di consulenza per aziende e partiti praticando strategie data driven. Certamente la consulenza del Messina Group, oltre ad essere utile a Renzi e al PD, segnerà l’inizio in Italia dell’uso dei Big Data nelle campagne elettorali, cosa che da noi, complice anche l’analfabetismo tecnologico medio della classe politica italiana, tarda ad arrivare, nonostante le tecniche di data mining si siano dimostrate sempre più efficaci in molti ambiti e le elezioni di Obama abbiamo provato come un approccio scientifico ai dati permette di condurre campagne più mirate ed incisive.
Durante l’elezione di Obama del 2012, il Chief Scientist assunto da Jim Messina per guidare l’analisi dei Big Data era Rayid Ghani, docente ed esperto di data mining che adesso lavora a Chicago. Ho incontrato Ghani due anni fa durante una conferenza e mi ha brevemente raccontato come ha lavorato con alcune decine di collaboratori all’analisi dei dati per la campagna elettorale. Oltre ad usare gli elenchi degli elettori e degli iscritti al partito democratico e a quello repubblicano, il team ha analizzato i profili social degli elettori, i loro “like”, i loro commenti e le loro preferenze. Questo lavoro di analisi ha permesso di selezionare con molta attenzione i potenziali elettori di Obama e soprattutto quelli che, pur essendo di simpatie democratiche non sarebbero andati a votare. Su questi ultimi si sono concentrati i volontari di Obama che li hanno chiamati al telefono, sono andati a cercarli, gli hanno chiesto contributi elettorali, li hanno convinti dell’importanza del loro voto, quando necessario li hanno anche accompagnati ai seggi per votare. Il lavoro di analisi dei dati del team di Ghani è stato fondamentale per identificare i potenziali voti che Obama avrebbe perso per diversi motivi e per recuperarli tramite una mappa sociale che copriva tutto il territorio degli Stati Uniti. La stessa strategia proporrà certamente Jim Messina al nostro premier e, con i necessari adattamenti, verrà implementata in autunno prima e durante il referendum. Così il compito degli anti-renziani diverrà più difficile perchè, oltre a doversela vedere con il Premier, dovranno anche lottare contro i Big Data.
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