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Ciò che c’è di buono non andrà perduto”. Così John Steinbeck, lo scrittore americano premio Nobel per la Letteratura, chiude una lettera destinata al figlio quattordicenne, in quel momento in collegio. Era il 1958 e Thomas, in una precedente lettera, aveva raccontato ai suoi di essere innamorato.
 Qui, oggi, non raccontiamo di un amore appena sbocciato, ma di una fine, di un distacco. 
 Di un sorriso spento, di un dolore vivo e di tante domande ancora senza risposta. 

Massimo Bevacqua è morto e l’unica cosa che risuona nei pensieri di chi lo ha conosciuto è: perché? Le morti improvvise e violente lasciano anche questo: domande. A Massimo sopravvive una madre in precarie condizione di salute e ancora all’oscuro della sua terribile fine, delle sorelle (adorate e che lo hanno tirato su come fosse un figlio) un fratello, nipoti, una in arrivo e amici. Tanti. Chiusi a riccio nel loro dolore. Tutti in attesa di capire. Passano le giornate al telefono, con la Farnesina, le Ambasciate, Cataldo il fratello in queste ore in Tunisia. 

Chiedono, si informano, piangono, asciugano le lacrime e tornano ad arrovellarsi. Amici di una vita a Rossano, dove tornava con frequenza anche e soprattutto per la famiglia a cui era legato come forse solo noi calabresi sappiamo essere, visceralmente, oltre il sangue, è appartenenza la nostra. Era partito a fine gennaio. Aveva una lezione il giorno dopo, l’aereo era in ritardo e lui era in preda all’ansia, voleva tornare a casa, a Tunisi, voleva tornare dai suoi studenti

Alla sua vita altra, quella che si era costruito in quel mondo lontano dal nostro. L’amava questa sua vita. A Tunisi lo conoscevano tutti, se facevi un giro con lui nella kasbah da qualche parte sentivi sempre qualcuno chiamarlo: Massimo. E lui si girava e sorrideva a tutti, sempre. Il sorriso di Massimo era una categoria a sé stante.Partiva da dentro, arrivava agli occhi e poi esplodeva agli angoli della bocca. 

Si era laureato a Roma, alla Sapienza, con il massimo dei voti, in Lingue straniere, indirizzo orientale, con una tesi in Dialettologia araba. Era seguito un dottorato di ricerca internazionale all’Università di Bari, poi un master in traduzione editoriale arabo-italiano e vari attestati di frequenza a corsi in lingua araba, seguiti anche a Damasco, in Siria. Era membro dell’Association Internationale de Dialectologie Arabe (Aida). Dal 2004 si era trasferito in Tunisia dove insegnava lingua italiana all’Istituto italiano di Cultura a Tunisi e all’Università di Cartagine. Viveva a Sidi Bou Said, la Santorini di Tunisi, con le sue case bianche e le finestre blu. 

Oggi sarebbe stato il suo compleanno, 42 anni che non festeggerà. Gli amici gli avevano chiesto di tornare a Rossano in quei giorni, fermarsi un po’ per poi partire per Pesaro dove il 18 febbraio avrebbe dovuto tenere le sessioni di laurea e di esame (insegnava lingua araba con un incarico a contratto). Appena hanno saputo la notizia gli studenti, lì, hanno tappezzato l’aula con sue foto e stanno pensando a realizzare un libro ricordo della sua esperienza, che poi invieranno alla famiglia. Anche gli studenti in Tunisia si sono raccolti in preghiera e il circolo tuinisino “Maurizio Valenti”  del Pd ha organizzato una messa per ricordarlo alla Cattedrale Saint- Vincent-de-Paul di Tunisi, in Avenue Habib Bourguiba. Oggi pomeriggio a Rossano ci sarà una fiaccolata, in sua memoria, partirà alle 18, da Via Nazionale 30 (casa sua) 

Era amato dagli studenti. Dovunque fosse, qualunque cosa stesse facendo il suo primo pensiero era per loro. Appena aveva un collegamento internet si metteva su skype per dare consigli, incoraggiamenti, aiuto. Un rapporto che travalicava quello di docente – studente per diventare quello di mentore e amico. 

Era un arabista noto e stimato. Aveva lavorato anche come traduttore per il fu Tribunale di Rossano. Era un tipo buffo Massimo, colto, divertente, l’accento ricercato anche quando parlava in dialetto. Faceva le imitazioni di tutti, ultimamente il suo cavallo di battaglia era Rocco Siffredi. Come tanti professori a contratto per vivere si divideva in svariate università. Spesso diceva che la sua seconda casa era l’aeroporto. Aveva tenuto lezioni di arabo anche alla Sapienza di Roma, per il personale del ministero della Difesa e teneva corsi di lingua e cultura arabe per gli operatori di alcune onlus e del Centro italiano di Solidarietà. Aveva vissuto con slancio il periodo della primavera araba e delle “lingue della rivolta”. Appassionate le sue note sull’argomento, compreso un riferimento, piuttosto duro, alla libertà di stampa “ancora di facciata in questo paese”. 

Andava pazzo per i selfie, le feste, le cene in famiglia, le corse per mantenersi in forma, il mare. I suoi erano occhi verdi spalancati sul mondo. Le sue ultime foto, su facebook, lo vedono felice a Tunisi, al Carpe Diem. Quell’attimo fuggente che lui ha saputo cogliere, nel momento stesso in cui lo stava perdendo. Sorrideva in quelle foto. 

Quel che di buono c’è stato non andrà perduto, Massimo. Ci penseremo noi.

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