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Quasi quotidianamente ci viene ricordato che ormai siamo nell’epoca dei Big Data e, pur facendo la tara della moda e delle esagerazioni del momento su questo tema, non si può negare che i dati che oggi possiamo accedere e usare sono tantissimi e sono dappertutto. Nelle memorie dei nostri PC, negli smartphone, su Internet, sui social, nei Cloud, primo fra tutti quello di Google, nelle reti di sensori, ecc. Sono Open Data, Personal Data, Linked Data e chi più ne ha più ne metta. I dati sono il petrolio del terzo millennio e chi li saprà usare potrà trarne vantaggi sugli altri che invece non li sanno sfruttare. Tutte cose vere, ma proprio perché sono vere, la cautela ci dovrebbe suggerire di stare molto attenti con i tanti dati disponibili. Dati scorretti se ne possono trovare in quantità e le bufale che circolano sui social network e che spesso, senza alcuna verifica, vengono condivisi da milioni di persone, sono soltanto uno dei tanti esempi che ci dovrebbero insegnare a stare attenti con i dati spazzatura che ci circondano e che ci possono indurre in errore.
Se poi usiamo dati per elaborarli, l’attenzione dovrebbe essere ancora maggiore, perché la disattenzione e l’errore sono sempre in agguato, come dimostra il caso eclatante scoppiato circa due anni fa e che ha avuto come protagonisti due eminenti economisti, Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, che sono scivolati, come due dilettanti alle prime armi, sulla buccia di banana di un banale errore su alcuni dati di una tabella Excel, che ha messo in dubbio la loro credibilità e ha rischiato di provocare danni enormi.
La storia, in sintesi, nasce da uno studio pubblicato nel 2010 sulla rivista American Economic Review, nel quale i due economisti avrebbero dimostrato, sulla base di alcuni indicatori economici, l’esistenza di una correlazione tra i valori di debito pubblico di una nazione superiori al 90% e la futura bassa crescita di quel paese per gli anni a venire. Data anche l’elevata credibilità delle fonti (professori alla Harvard University) questo studio ha ispirato la politica economica di alcuni governi occidentali come testimoniato dai discorsi fatti dopo quella pubblicazione da personalità come Paul Ryan e Tim Geithner negli USA, Norman Lamont e George Osborne (Cancelliere dello Scacchiere) in Gran Bretagna. Tra gli altri, Olli Rehn, quando era commissario dell’Unione Europea per l’Economia, ha fatto sua la teoria di Reinhart e Rogoff, dichiarando: «È ampiamente riconosciuto, sulla base di seria ricerca scientifica, che quando i livelli del debito pubblico salgono oltre il 90% tendono a presentare una dinamica economica negativa, la quale si trasforma in bassa crescita per molti anni.»
Tutto questo è avvenuto dal 2010 alla primavera del 2013, quando Thomas Herndon, Michael Ash e Robert Pollin dell’Università del Massachusetts, hanno dimostrato che i risultati della ricerca di Reinhart e Rogoff erano basati su alcune disattenzioni nell’uso dei dati e su errori di calcolo in alcuni casi grossolani. Eliminando gli errori dall’analisi, il tasso di crescita medio dei paesi con debito alto è cambiato dal –0.1% al +2.2%, una differenza molto grande che ha cambiato le conclusioni di quello studio e smentisce i politici che lo hanno usato. Tra i problemi principali di quello studio c’era, incredibilmente, un errore di codice nel foglio di calcolo utilizzato per selezionare i dati. Per un banale errore, dal calcolo di una media del tasso di crescita erano state esclusi alcuni valori della tabella Excel, compreso quello della cella che conteneva il dato del Belgio che avrebbe permesso di ottenere il valore medio corretto cambiando le conclusioni dello studio. Uno studio di due economisti di prestigio che ha condizionato la scelta di governi come quello britannico, quello americano e di altri ancora. Infatti, seguendo le indicazioni dello studio di Reihnart e Rogoff e le loro motivazioni motivazioni, ad esempio, in Italia sono stati giustificati i tagli e le ritardate pensioni di tante persone avanti negli anni e con scarse prospettive di lavoro, ed è stata anche tassata significativamente la prima casa. Sulla base di questi effetti, polemicamente, il Center for Economic and Policy Research (CEPR) si è chiesto quanta disoccupazione è stata “causata” da errori aritmetici e di utilizzo del foglio di calcolo? Pur non potendo rispondere a questa domanda, è certo che negli USA e in Europa molti politici ed esponenti dei diversi governi hanno giustificato la necessità di politiche di austerità sui calcoli e i risultati errati presentati da Reinhart e Rogoff.
Questo caso emblematico rende evidente come un piccolo errore sull’uso dei dati può generare un effetto valanga con conseguenze enormi e a volte incontrollabili. Questo esempio dovrebbe servire per indicare come sia necessario stare molto attenti a maneggiare i dati, soprattutto adesso che sono tanti e di facile accesso. Parafrasando il titolo di una famosa serie televisiva, che ormai soltanto i meno giovani conoscono, è il caso di ricordare a tutti: Attenti a quei dati!
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