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Qualche anno un ministro noto più per la sua finanza creativa, unita a una certa sicumera, che per la capacità di risolvere i problemi economici dell’Italia, provò a convincerci che “con la cultura non si mangia”. Lo fece per giustificare i tagli che i governi, di cui lui era un ministro importante, hanno compiuto con una certa continuità sui bilanci della scuola, dell’università e di tanti enti culturali e di ricerca del nostro Paese. Da allora molti fatti lo hanno smentito e oggi lui è ormai un ex-ministro senza lode e con qualche collaboratore molto stretto accusato di aver mangiato, lui sì, con le tangenti sulle grandi opere. Alle tante smentite di quell’infausta affermazione ne vogliamo aggiungere un’altra che non viene dai settori dell’innovazione tecnologica e della ricerca scientifica che spesso dimostrano come il sapere contribuisca al benessere dei cittadini, ma dall’area umanistica e dei beni culturali e artistici che tanto sta soffrendo per l’assenza di investimenti pubblici.

La storia è insieme semplice e sorprendente. Cristina Moro è una laureanda in Storia e critica dell’arte dell’Università Statale di Milano che ha iniziato la sua tesi alcuni mesi fa studiando una tela di Jacopo Palma il Giovane e l’ha conclusa scoprendo due opere della metà del 1500 del pittore veneto Paolo Veronese. La bellissima scoperta è avvenuta alla Villa San Remigio di Verbania in Piemonte, dove Cristina, iniziando a studiare l’opera di Jacopo Palma, si è trovata davanti a due opere catalogate, fino a qualche mese fa, come esempi della “scuola di Paolo Veronese”, ma mai attribuite al caposcuola. Si tratta di due tele alte due metri e larghe poco più di un metro che raffigurano due allegorie: la Scultura, con una donna che guarda un piccolo putto che ha in mano un modello d’argilla e una stecca da scultore e la Geografia, rappresentata da un uomo in abiti orientali che stringe un astrolabio e ha ai suoi piedi un mappamondo. Cristina, studiando quelle due opere, ha scoperto che diversi dettagli facevano pensare alla mano del grande pittore Paolo Caliari originario di Verona, per questo detto “il Veronese”.

Stavolta la serendipity, quel felice processo che fa scoprire una cosa mentre se ne cerca un’altra grazie alla combinazione tra fortuna e impegno nella ricerca, ha preso forma durante il lavoro di tesi della laureanda (e dei suoi due relatori Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa), portandola dall’analisi di una tela di Palma il Giovane fino al recupero di due opere di grande valore di Paolo Veronese. Il tutto grazie all’unione di competenza e intuizione, confermate poi dalla Prof.ssa Vittoria Romani e da altri esperti delle opere di Paolo Veronese.

Oltre alla grande rilevanza artistica e culturale, la scoperta di Cristina Moro ha avuto l’effetto, non secondario, di aumentare di alcuni milioni di euro il valore del patrimonio artistico della Regione Piemonte, proprietaria della villa e quindi delle due opere. Infatti, fino a ieri i due quadri erano valutati circa settemila euro, adesso, dopo la scoperta di una giovane laureanda, hanno un valore compreso tra i dieci e i quindici milioni di euro. Dunque, in questo caso una tesi di laurea ha permesso di trovare un tesoro. Alla faccia di quello sprovveduto ministro che, pur avendoci provato, comunque non è riuscito a convincere gli italiani che la cultura non genera valore!

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