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Mio nonno non mangiava, spizzuliava.
Mio nonno non dormiva, riposava gli occhi.
Mio nonno aveva braccia grandi, da lui un abbraccio non sarebbe mai mancato. A nessuno.
Mio nonno si lisciava i capelli con la brillantina Linetti. Se ci ripenso mi sento l’odore del naso.
Mio nonno aveva una guida, diciamo, maschia. All’inglese. Una cosa del tipo: fate largo che passo io.
Mio nonno era un comunista. Quando ancora questa parola significava qualcosa. Lo era nel pensiero, ma sopratutto lo è stato nei fatti.
Nelle azioni.
Mio nonno è stato il primo a prendermi in braccio quando sono nata. Il primo tra le cui braccia ho volteggiato a ritmo di musica.
Mio nonno mangiava una limma di pasta al giorno. E’ rimsto in forma fino all’ultimo giorno, analisi incluse. Salvo quel piccolo problema di ipocondria e quel tuo “amore” per gli ospedali e i prelievi.
Mio nonno è morto quindici giorni dopo mia nonna.
Quando eravamo piccoli, io e mio fratello spesso restavamo dai nonni durante le vacanze, per farci addormentare ci leggeva delle favole, dormivamo in un grande letto, alla Piazzetta, lui si metteva in mezzo e leggeva. Mio fratello lo correggeva se diceva la parola sbagliata o se girava la pagina prima del tempo, lui si scusava e ricominciava. Per mesi, tutte le sere, sempre la stessa storia. Cappuccetto Rosso. Ancora oggi se vedessi quel libro potrei elencare la parola esatta da dire prima di cambiare pagina.
In prima media un bulletto di paese mi dava fastidio, per una settimana, senza dirmi una parola, Aldo, si è fatto trovare all’uscita di scuola, facevamo insieme via Martucci, io poi salivo a casa e lui tornava in Comune. Protetta, così mi fece sentire. Così facevi sentire chi ti incontrava.
Io e mio fratello ci siamo applicati, ma un’insalata di pomodori buona come la tua non siamo mai riusciti a farla. Non ci riusciremo mai. Resterà la tua.
La crostata della nonna e l’insalata di pomodori del nonno, resteranno sapori ancorati in un limbo d’amore.
Mio nonno era un uomo perbene. Alto, elegante. Forte.
Mio nonno è nato in un posto di mare, ma adorava la montagna.
Non credo molto a riti pagani, tipo la cosa delle monete nelle tasche par pagarsi il viaggio, ma sono stata felice che a mio nonno sotto il cuscino sia stato messo un pugno di terra della “sua” montagna e uno di Celadonna. Luoghi che ha amato.
Che non potesse vivere senza di lei, la sua Terè, lo sapevamo tutti.
Che tu l’abbia seguita così presto ci ha spezzato.
Senza fondamenta come vele in tempesta. Zattere che si aggirano senza guida in un fiume di ricordi, amore, lacrime, dolore.
Eri il nocchiero, il nostro capitano. Carrarmato. Una quercia.
Mio nonnno era un credente, una delle poche persone che conosco che era riuscito a conciliare un credo religioso profondo, con un credo politico altrettanto profondo.
Un puro, con i suoi borbottii, le sue insofferenze.
Mio nonno è morto sorridendo. Don Antonino, il padre spirituale, un amico che ha seguito entrambi per tutta la vita, ha detto che non aveva mai incontrato un uomo così pronto al passaggio. Siamo noi che non eravamo pronti, noi che ancora parlando diciamo: a casa del nonno.
Mio nonno è morto e le lacrime e queste mie parole non bastano a soffocare il senso di perdita. Annaspiamo.
Eri mio nonno, ti chiamavi Aldo. Da quando sei morto io mi sveglio, all’improvviso, tutte le mattine alle cinque, ora in cui ci ha lasciato, e piango.
Questo vuoto che sento ora resterà così per sempre. Un mio luogo privato in cui siete insieme, tu e Teresa, Gino e la Mària. La morte non ha separato ciò che la vita aveva unito.
Arriverà il giorno in cui porteremo la zattera a riva, la ancoreremo e scaricheremo i ricordi, sorridendo. Ci gireremo e vi vedremo, insieme. Di nuovo e per sempre. Inseparabili.
da Adonais di Percy Bysshe Shelley
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