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Certe volte ho come l’impressione di vivere tipo alla Torre di David, a Caracas. Una cosa del tipo “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio”, omicidio escluso. Fino ad ora. Credo sia a causa di questo multiculturalismo che mi schiaccia, il melting pot che mi schianta, tipo sindrome di Stendhal, estasiata ma affranta. Sarà anche l’effetto straniante delle badanti in circolo nel palazzo. Peruviani, coppia con figlio, al piano di sopra, ucraina al piano sotto, moldava a fianco, polacca da me, bangla al mezzanino. Tipo che dovrei frequentare uno di quei corsi all’Amar, quelli che insegnano il buon vicinato tra culture diverse. O dovrei mettere su una cosa alla Cascina della Cuccagna, roba da equosolidalisti, gente che “recupera all’uso pubblico dei cittadini i preziosi e grandi spazi…”. Sarà il reflusso di coscienza causatomi dal palazzetto occupato di là della via. Sarà perché ieri scendendo a fare la mia giornaliera corsetta intorno al palazzo, le anziane sotto casa vedendomi si sono scansate ma mica impaurite, seccate più che altro. Che già fare paura sarebbe una stellina da attaccasse alla felpetta. Sarà che appena iniziato a muovermi il maledetto Endomondo ha perso il segnale gps, che incrocia due satelliti, manco fossi in mezzo all’Oceano Pacifico e non a Tormarancia. Appena uscita dal portone mi sono trovata davanti tre cristoni rasati tutt’un tatuaggio che lì per lì, da buona borghese mi so’ presa sì di paura, finché non ho visto che stavano passeggiando i canetti: uno yorkshire e un carlino. Che insomma paura proprio non fanno. Gli sono passata accanto mentre uno, quello senza cane, raccontava agli altri tre, tipo a misurarselo sulla lunghezza che uno gl’aveva detto che tipo: “Ai pitbull je danno l’asteroidi e poi li chiudeno ar buio, così dopo so’ più cattivi!. Il tutto mentre il peloso di uno abbaiava forsennato e ciccio dell’altro si rifiutava di andare avanti. Sarà perché alla fine del primo giro sono stata investita da un odore di salsiccia alla griglia, che vabbé cenare presto, ma porca paletta alle sei e mezzo non è manco n’apericena. Sarà perché al secondo giro nun era salsiccia, ma erba. Quella che si fuma. C’erano due che litigavano in macchina, al terzo giro avevano fatto pace e l’ho capito dai vetri appannati. C’era uno che strillava al cellulare e il solito sborone tutto un’aderenza lucida che mi ha dovuto superare in scioltezza. Tipo come diceva Alice nel suo paese: “Se avessi un mondo come piace a me tutto sarebbe assurdo, niente sarebbe come è, perché tutto sarebbe come non è e viceversa! Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe”. Mo’ certo vai poi a stabilire cosa è assurdo, sorvolando sull’essere e non essere. Che poi io sono sempre stata convinta che Nicholas  Brody fosse nascosto nelle cantine di qui. Altro che Caracas. Altro che Torre David. 
Portafogli solitari
cercano moglie 
Anche i ricchi cercano moglie. Ma non lo fanno come noi più o meno comuni mortali, chessò andando a una festa, fidandosi di amiche/i che ti presentano un amico/a, recandosi a matrimoni, o partecipando a funerali (il dolore unisce eh), spulciando su siti più o meno seri sull’internet o nei casi più disperati rivolgendoci a agenzia matrimoniali. No il ricco attempato, o bruttino, o impacciato o indaffarato e che non ha tempo per inseguire l’anima gemella si iscrive alla Berkeley International, agenzia nata una ventina di anni fa a Londra e che dallo scorso anno ha una sede anche a Milano e Parigi. Che sia un’agenzia per ricchi lo dice la cifra d’ingresso: 10mila euro. Secchi lì sul piatto solo per iscriversi. Iscrizione che non bisogna dare per assodata, sia chiaro, la selezione è durissima. Una scrematura che neanche il latte senza lattosio. Una volta accettati e firmata l’indispensabile clausola di riservatezza, del resto quale “portafoglio solitario” vorrebbe far sapere al mondo di aver trovato la compagna della vita a suon di bigliettoni, la tariffa base garantisce otto incontri, niente foto solo appuntamenti de visu. Nove mesi in media per fare centro. Pare che il ricco e italico maschio cerchi essenzialmente donne straniere. Il che vuol dire far lievitare il prezzo a 15 mila euro per proposte su due città dove Berkeley è presente, a 25 mila per l’Europa, “ma si può arrivare anche a 100 mila euro per coprire tutte le città nelle quali ci siano clienti dell’agenzia”(fonte L’Espresso). Con buona pace di tutte le Cenerentole nel mondo. 
 

Tutti i bambini diventano adulti, tranne uno (James Matthew Berrie)

Certe volte ho come l’impressione di vivere tipo alla Torre di David, a Caracas. Una cosa del tipo “Scontro di civiltà per un ascensore a piazza Vittorio”, omicidio escluso. Fino ad ora.

 Credo sia a causa di questo multiculturalismo che mi schiaccia, il melting pot che mi schianta, tipo sindrome di Stendhal, estasiata ma affranta. Sarà anche l’effetto straniante delle badanti in circolo nel palazzo. Peruviani, coppia con figlio, al piano di sopra, ucraina al piano sotto, moldava a fianco, polacca da me, bangla al mezzanino. Tipo che dovrei frequentare uno di quei corsi all’Amar, quelli che insegnano il buon vicinato tra culture diverse. O dovrei mettere su una cosa alla Cascina della Cuccagna, roba da equosolidalisti, gente che “recupera all’uso pubblico dei cittadini i preziosi e grandi spazi…”. 

Sarà il reflusso di coscienza causatomi dal palazzetto occupato di là della via. Sarà perché ieri scendendo a fare la mia giornaliera corsetta intorno al palazzo, le anziane sotto casa vedendomi si sono scansate ma mica impaurite, seccate più che altro. Che già fare paura sarebbe una stellina da attaccasse alla felpetta. 

Sarà che appena iniziato a muovermi il maledetto Endomondo ha perso il segnale gps, che incrocia due satelliti, manco fossi in mezzo all’Oceano Pacifico e non a Tormarancia. Appena uscita dal portone mi sono trovata davanti tre cristoni rasati tutt’un tatuaggio che lì per lì, da buona borghese mi so’ presa sì di paura, finché non ho visto che stavano passeggiando i canetti: uno yorkshire e un carlino. Che insomma paura proprio non fanno. Gli sono passata accanto mentre uno, quello senza cane, raccontava agli altri tre, tipo a misurarselo sulla lunghezza che uno gl’aveva detto che tipo: “Ai pitbull je danno l’asteroidi e poi li chiudeno ar buio, così dopo so’ più cattivi!”. Il tutto mentre il peloso di uno abbaiava forsennato e ciccio dell’altro si rifiutava di andare avanti. 

Sarà perché alla fine del primo giro sono stata investita da un odore di salsiccia alla griglia, che vabbé cenare presto, ma porca paletta alle sei e mezzo non è manco n’apericena. Sarà perché al secondo giro nun era salsiccia, ma erba. Quella che si fuma. C’erano due che litigavano in macchina, al terzo giro avevano fatto pace e l’ho capito dai vetri appannati. C’era uno che strillava al cellulare e il solito sborone tutto un’aderenza lucida che mi ha dovuto superare in scioltezza. 

Tipo come diceva Alice nel suo paese:Se avessi un mondo come piace a me tutto sarebbe assurdo, niente sarebbe come è, perché tutto sarebbe come non è e viceversa! Ciò che è, non sarebbe e ciò che non è, sarebbe“. 

Mo’ certo vai poi a stabilire cosa è assurdo, sorvolando sull’essere e non essere. Che poi io sono sempre stata convinta che Nicholas  Brody fosse nascosto nelle cantine di qui. Altro che Caracas. Altro che Torre di David. 

ps “Scontro di civiltà  per un ascensore a Piazza Vittorio” è un bel libro di Amara Lakhous ci hanno tirato fuori anche un film
La foto è da  The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson, esce il 10 aprile. E io ci sarò, in sala 

 

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