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Non sarà il cambio di calendario alla parete a far sì che l’anno che è arrivato sia realmente “nuovo”. Soltanto se sapremo rinnovarci usando nuove (nel senso di migliori) modalità di pensiero e di azione, come la difficile realtà in cui siamo immersi richiede, avremo anni “nuovi” davanti a noi. Michel Serres, filosofo francese e professore emerito alla Stanford University, nel suo recente libro Non è un mondo per vecchi (titolo originale Petite Poucette) discute alcune idee utili e “nuove”. Lui che è un ottuagenario Accademico di Francia, in quel testo riflette su come i computer, Internet, e i social network, hanno modificato lo spazio e il tempo che viviamo (e non soltanto la sensazione che abbiamo di essi). Serres ragiona su come nelle diverse epoche lo spazio degli uomini si è ristretto fino a quasi annullarsi e richiama il confronto tra la Rete, il cavallo e l’aereo; vecchi e nuovi mezzi di trasporto e di comunicazione che in modo diverso hanno modificato le distanze tra le persone. Distanze ormai massimamente ridotte dalla Rete che può creare una distanza minima tra due o più interlocutori connessi, qualsiasi sia l’angolo della terra in cui essi si trovino fisicamente.

Come lo spazio, anche il nostro tempo quotidiano è condizionato dall’uso continuo delle nuove tecnologie. A causa loro, il tempo scorre in maniera diversa da quella che hanno conosciuto e vissuto i nostri nonni e i nostri genitori. Il Web, l’email e le altre diavolerie digitali modellano il nostro tempo quotidiano a volte di più degli impegni tradizionali. L’indirizzo più usato oggi è il numero del nostro cellulare o quello della nostra email. Usiamo questi nuovi indirizzi “soft” molto velocemente e molto più spesso dell’indirizzo postale di casa nostra che ormai serve soltanto per le poche cose “pesanti” che ancora non riescono a viaggiare su Internet (le stampanti 3D tra poco giocheranno un ruolo importante nel permettere anche questo). Leggimo i profili Facebook delle persone molto spesso per conoscere in pochi secondi informazioni su amici, colleghi o semplici sconosciuti. Informazioni che in passato si riuscivano ad avere con difficoltà e molto più lentamente.

Seguendo questa tendenza, il profilo Facebook o Twitter potrebbe essere usato molto facilmente al posto della carta d’identità cartacea o elettronica. Quel profilo non bisogna portarselo appresso, non si rischia di perderlo ed è facilmente accessibile dovunque arrivi Internet. Se si decidesse di usarlo, magari con alcuni meccanismi sicuri e affidabili oggi non previsti, si potrebbero risparmiare molte spese (alla faccia dell’identità digitale che l’Italia insegue da tempo senza seri risultati) e ognuno potrebbe essere identificato anche meglio di come si fa con la carta d’identità.

A questo punto qualcuno potrebbe opportunamente obiettare, che l’identità di una nazione non può finire nelle mani di un colosso privato straniero. Giusta obiezione, se non fosse che già oltre 20 milioni di italiani hanno un profilo Facebook e dunque hanno consegnato a Mark Zuckerberg (e come effetto collaterale alla National Security Agency americana) molto di più che la loro identità. Nonostante questo l’obiezione rimane corretta, ma allora, a proposito di cose nuove da fare perché un anno sia veramente nuovo, perché non è lo Stato italiano a realizzare un social network per i suoi cittadini? Una rete sociale non per giocare o postare le foto fatte con lo smartphone allo specchio, ma da usare per l’identità digitale, per le attività quotidiane di studio e lavoro e per tutti i servizi che ai cittadini servono quotidianamente.

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