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Le università, soprattutto quelle italiane, vivono una fase di declino per buona parte legata alla crisi economica, ma non solo a quella. E’ una crisi che rischia di diventare storica per la sua durata che potrebbe essere molto lunga e per i suoi effetti sociali che rischiano di essere profondi e molto negativi. Se i saperi che si creano e si trasmettono nelle università entrano in crisi, gli effetti nefasti sulla società e sulle generazioni future saranno involutivi, il benessere e le capacità di ognuno saranno certamente ridimensionati.Per queste ragioni la questione non riguarda soltanto chi nelle università lavora e studia, ma riguarda tutti. Non deve apparire retorico ribadire che in questi tempi difficili, bisogna puntare sui saperi e sulla loro trasmissione come fattori di superamento della crisi, bisogna evitare di continuare a tagliare i finanziamenti e impegnarsi nel rendere i soldi spesi in ricerca e formazione efficaci e utili. Questo richiede maggiore responsabilità e competenza a docenti e studenti e in qualche misura li obbliga anche a ripensare le forme di studio, di ricerca e di insegnamento. Non è rimanendo ognuno nel proprio orticello che si fanno passi avanti in questi tempi difficili.
Nel mondo sono in molti ad interrogarsi sul futuro delle università e dei saperi che lì si creano. Uno dei problemi principali che è in campo da molto tempo è la separazione tra le due culture, quella scientifica e quella umanistica. In Italia, questo problema ha avuto aspetti perniciosi in particolare nel secolo scorso. E’ ormai tempo di superare le incomprensioni e di lavorare ad un dialogo molto stretto tra scienziati ed umanisti. Ciò non serve soltanto ad arricchire i rappresentanti delle due aree, ma anche a creare nuovi saperi, nuove persone e nuovi professionisti con conoscenze trasversali e complementari.John Brockman con la sua Edge Foundation da molti anni lavora per lo sviluppo di quello che lui ha chiamato “Terza cultura”, per costruire una sintesi tra scienza e umanesimo superando le divisioni e le incomprensioni. L’opera non è facile ma va perseguita, come ha fatto, ad esempio, Ilya Prigogine e come fa anche il fisico Fritjof Capra (autore tra l’altro del Tao della fisica) che critica lo scientismo e la visione meccanicistica di molti scienziati per poter arrivare ad una sintesi tra scienza e umanesimo e alla costruzione di saperi interdisciplinari che serviranno all’uomo del terzo millennio.
Naturalmente lo sforzo va fatto su ambedue le sponde e dunque, insieme agli scienziati, anche gli umanisti devono essere capaci di mettere in discussione saperi e pratiche antiche, nicchie dove alcuni si rinchiudono per paura di innovare e di perdere spazi di potere accademico. C’è bisogno di discussioni, di visioni critiche, di nuovi percorsi accademici e didattici. Questo potrà servire a dare risposte alla crisi di oggi e alle necessità di domani e forse in futuro potremo immaginare due uomini antichi come Omero e Pitagora camminare a braccetto e discutere di teoremi e Ciclopi come fossero soltanto elementi diversi ma costituenti paritari e necessari nella vita di ogni uomo.
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