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C’è anche il Pantheon dei migliori gesti calcistici del mondo. In esso compaiono, tra gli altri, la “ruleta” di Zidane, la “maledetta” di Pirlo, il “tunnel” di Sivori, la “foglia morta” di Mariolino Corso, il “sombrero” di Pelè, il “cucchiaio” di Totti, il “corner” di Palanca. Quest’ultimo possedeva un piedino vellutato e potente. Segnava direttamente dal calcio d’angolo. Al punto che è persino entrato come paradigma nelle aule del tribunale. Infatti, durante la sua requisitoria il sostituto procuratore generale di Firenze, Alessandro Crini, ha ricordato, parlando delle impronte numero 36 trovate nella casa del delitto, «quel vecchio calciatore del Catanzaro, Palanca, che aveva un piede molto piccolo». La narrazione del piedino del fenomeno rinviene in uno dei capitoli del libro scritto da Geppino Martino, “La baracca delle aquile – twitter da un nido”, che per tanti anni è stato medico sociale del Catanzaro Calcio. «Massimo – scrive Martino – ha i piedi di misura piuttosto piccola, intorno al trentasette, conformati con un accentuato cavismo della pianta. Il che comporta un eccesso di carico sul tallone (che si ripercuote sul tendine di Achille) e sul davanti in corrispondenza dell’appoggio delle teste dei metatarsi, con conseguenti fenomeni dolorosi e infiammatori. Ci volle del bello e del buono, da parte mia e dell’impagabile Masino (il massaggiatore, n.d.r.), con prove e controprove, plantari, variazione della positura dei tacchetti ecc, fino a trovare la soluzione ideale, che venne poi adottata e abbondantemente propagandata dalla fabbrica di scarpe la Pantofola d’oro».
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