3 minuti per la lettura
Kevin: Nella Bibbia tu perdi. Siamo destinati a perdere papà.
Milton: La Bibbia è una fonte sospetta figliolo. (da L’avvocato del diavolo)
Se la “religione è l’oppio dei popoli”, come diceva Karl Marx prima che Mao facesse indossare a tutti una divisa grigia, chiudesse seminari, distruggesse chiese e disconoscesse il ruolo del Papa, i romani, già da tempo avevano sentenziato che “pecunia non olet”.I cinesi, questo, l’hanno recepito a dovere. Nel solo 2012 la Amity Printing (una società legata al China Christian Council, ente filo governativo) ha stampato 12 milioni di copie delle Sacre Scritture. La Amity produce Bibbie sin dalla sua fondazione, nel 1988. Nel 2010, l’exploit quando una bibbia su quattro nel mondo era made in China. Ora ha superato i cento milioni di esemplari.
Ne stampa un milione di copie al mese in cinquanta edizioni in diverse lingue: cinese, inglese, francese e spagnolo. Finanche un’edizione in braille per i non vedenti. Sfrutta il monopolio interno garantito dallo Stato (è l’unica azienda autorizzata) e il basso costo del lavoro. Sono pur sempre cinesi. Quindi, in soldoni, le vendono a meno.
Una svendita evangelizzatrice, diciamo. Una sorta di “quattro vangeli al prezzo di due”. Una Genesi “no frills”, un’Apocalisse low cost.
Il tutto, poi, da un paese in cui religione “ufficiale” è l’ateismo. Cioè l’assenza della stessa. Anche se la Repubblica Popolare Cinese conta oltre 16 milioni di cristiani, 55.000 chiese o luoghi di culto, 36.000 missionari. Numeri che potrebbero far impressione se non fossero riferiti a una popolazione che supera il miliardo e mezzo.
Chissà forse,a breve, le lanterne rosse decoreranno anche il colonnato di San Pietro.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA