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Se vi capiterà di trovarvi a Torino nelle prossime settimane, potreste visitare la mostra che la Biblioteca Reale, a Piazza Castello, dedica alla figura del grande matematico torinese Lagrangia. Si, avete letto bene, il nome di uno dei più grandi matematici del ‘700 è Giuseppe Luigi Lagrangia e non Joseph-Louis Lagrange come è invece conosciuto da tutti quelli che in Italia e nel mondo hanno studiato ed hanno usato le sue teorie e in particolare la meccanica “lagrangiana” (appunto) che permette di calcolare le equazioni del moto di molti sistemi studiati in meccanica razionale.

Come tanti italiani che arrivati all’estero hanno visto il loro cognome adattarsi alla lingua locale, Lagrangia nacque a Torino nel 1736 dove studiò, si laureò e a vent’anni fondò quella che sarebbe poi diventata l’Accademia delle Scienze torinese. Dopo aver dimostrato ai più grandi matematici dell’epoca, Eulero e d’Alambert, le sue eccezionali capacità di matematico teorico,  riuscì ad avere un incarico di insegnante alle Regie Scuole D’artiglieria. Ma siccome dalle nostre parti, anche a quel tempo, si badava di più ad altro che alle persone di ingegno, a soli trent’anni, Giuseppe Luigi emigrò a Berlino chiamato da Federico II di Prussia per sostituire Eulero presso l’Accademia delle Scienze. Dopo vent’anni di Germania, alla morte di Federico II, il matematico torinese si trasferì a Parigi su invito del re Luigi XVI, come membro della Académie des Science, dove rimase fino alla sua morte nel 1813.

L’adattamento del nome ovviamente avvenne in Francia, dove Lagrangia fu presidente della commissione che introdusse il sistema metrico decimale, e dopo la rivoluzione, professore all’Ecole Normale e all’Ercole Polytecnique apprezzato da Napoleone fino al punto che durante l’impero napoleonico ebbe la Legione d’Onore, fu eletto Senatore di Francia e fu nominato conte. Alla sua morte, pur essendo straniero, fu sepolto nel Panthéon.

Quando Lagrangia si trasferì in Germania per prendere il posto che aveva lasciato Eulero, lo stipendio che i prussiani gli offrirono fu di 1500 scudi e qui vale la pena di ricordare il commento che nell’occasione Lagrangia scriveva in una lettera a d’Alambert: (a Torino) mi hanno tenuto da più di dieci anni nell’oblio più profondo con una miserabile pensione di 250 scudi”.

Dunque nulla di nuovo sotto il sole. Il vizio italico di maltrattare le sue menti migliori è evidentemente “vecchio come il cucco”. Se accadeva nel ‘700 con uno dei più grandi matematici come Lagrangia, figuratevi se i potenti contemporanei, post-moderni ma sempre con le terga ben saldate su comode poltrone, possano fare diversamente e pensare ai tanti laureati e agli studiosi che sempre più spesso lasciano l’Italia, forse per mai più tornare!

Magari un giorno sentiremo parlare di qualcuno di loro e leggendo i loro nomi francesizzati o inglesizzati, immersi come siamo nel nostro storico provincialismo, ammireremo l’opera di quei “finti” stranieri, che magari risponderanno al nome di Louis Blancs o Joseph Reds, e certamente l’apprezzeremo di più di quella di chi ha nome e residenza italiani.

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