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Perdonare e dimenticare vuol dire gettare dalla finestra una preziosa esperienza già fatta (Schopenhauer)
“Perdono, perdono, perdono. Il male l’ho fatto più a me”. Cantava nel turbolento ’68 Caterina Caselli.
“In ginocchio da te” implorava Gianni Morandi quando i sixties erano anni felici.
“Perdono, se quel che è fatto, è fatto io però chiedo scusa”, gli faceva eco Tiziano Ferro nei dimessi 2000.
Quante volte si può perdonare qualcuno? Se lo chiedevano giorni fa Il Foglio e il Corsera (sono una onnivora lettrice, cose del cartaceo, tranquilli). Infinite volte o nessuna. Pare. Elvira Serra del Corriere lo ha chiesto a un frate, a un sessuologo, a una psicologa e a una filosofa. Il meno possibilista è stato il frate cappuccino. Udite, udite. L’altra guancia va posta sì, ma con moderazione. L’amaro calice, delle corna nello specifico, va mandato giù poco alla volta e poche volte (che poi ti strozzi e il palco in testa, diciamocelo, pesa). Padre Giovanni Solonia, docente di psicologia all’Università Antonianum di Roma e direttore scientifico della Scuola di Specializzazione in Psicoterapia della Gestalt (mica bruscolini) dice che perdonare sempre e troppo in fretta fa perdere la parità nel rapporto. Insomma da moglie, compagna, fidanzata, diventi una madre. E non va bene eh. No, ma vedi tu come ti stupisce ‘sta chiesa moderna. Il sessuologo non tiene contabilità: Una, nessuna, centomila. Parla di dipendenza dal rapporto la psicoterapeuta. La filosofa, la più spiccia, dice che chi tradisce, tradisce per primo se stesso.
Io ho il mio metodo. Dopo la rabbia furiosa e schiumante, dimentico. Ma non perdono.
“La risposta è dentro di te. Epperò è sbagliata”. Di Quelo, fidatevi.
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