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Il Pd, nel giorno del giudizio e del pregiudizio, ha eletto quale traghettatore per il congresso catartico che non si sa quando sarà tenuto Guglielmo Epifani. Potremmo dire che si è trattato di un epifenomeno. Che sarebbe stato lui il successore di Bersani lo scrissi sul Quotidiano della Calabria, versione cartacea, circa un mese fa. Non avevo la palla di vetro. Era naturale che fosse così perché un partito balcanizzato aveva ed ha bisogno in questo momento di una persona seria che non fosse implicata in intrighi di palazzo. E soprattutto che non provenisse dai due affluenti maggiori, l’ex Pci e l’ex Dc. Qualcuno per degradarlo l’ha definito “socialista”, con un residuo di acrimonia. In realtà l’ex segretario della Cgil è stato un socialista anomalo, nel senso che non proviene dalla scuderia craxiana. E, quindi, non compromesso. D’altra parte gli ex Pci sanno quanto egli vale dal momento che gli fecero guidare la Cgil. Tra i tanti commenti voglio qui citare il pezzo di Fabio Martini su La Stampa di Torino. Questo l’incipit: “Sull’uscio del suo studio a palazzo Chigi Silvio Berlusconi andò incontro al nuovo segretario della Cgil, protese la mano destra e disse: «Carissimo Epifani, finalmente tra socialisti ci intenderemo!». Ed Epifani, sempre col sorriso sulle labbra: «Socialista sì, ma interista!». Come dire, ma con classe: non ci intenderemo mai. Un duetto che risale all’autunno del 2002 e racconta un tratto significativo del futuro segretario del Pd: Epifani è un uomo di style, come riconoscono anche i detrattori. Un aneddoto che contiene anche l’altra cifra originale del personaggio, almeno per la storia del Pd: Epifani ha radici socialiste, anche se la sua fede è stata vissuta non nel Psi, ma dentro il sindacato. Da questo punto di vista, Epifani porta alla guida del Pd una storia personale diversa da suoi tre predecessori: mentre Pier Luigi Bersani e Walter Veltroni si erano formati nel Pci e Dario Franceschini nella Dc, Epifani si è forgiato nella Cgil, con una formazione tutta legata alle trattative sindacali»”. Insomma, Guglielmo Epifani ha pugno di ferro in guanto di velluto. Lo ricordo benissimo a fine giugno del 2007 nel comizio dello sciopero generale che i sindacati calabresi tennero a Catanzaro contro la giunta Loiero. Cioè contro lo stesso colore politico. Scrissi in quell’occasione: «Guglielmo Epifani, che in mattinata aveva ingaggiato un botta e risposta con il ministro del Lavoro Cesare Damiano sul destino dello scalone, ha tenuto una porta aperta alla classe politica calabrese che oggi si trova sul banco degli imputati. “Fate in fretta altrimenti il solco s’allarga”, ha detto Epifani rivolgendosi alla giunta regionale; ma prima ancora il leader della Cgil aveva incoraggiato la magistratura (era in corso l’offensiva del pm De Magistris) ad andare avanti, “ma fate presto altrimenti si rischia di mettere insieme i colpevoli e gli innocenti”. La manifestazione di ieri – va detto subito – è complessivamente riuscita perché portare oltre ventimila persone non è mai facile. Ma c’è da chiedersi cosa sarebbe stata quest’adunata se la maggioranza di governo non avesse tirato il freno a mano. Non tutti, nella coalizione, sono, ad un tempo, partito di lotta e di governo. Inoltre i decisori hanno sempre in mano due carte: il potere di fare e il potere di impedire agli altri di fare. Non c’erano assessori regionali, non c’erano politici di prima fila dell’ Unione (tranne Pignataro, Guagliardi e qualche altro). E questo si sapeva. Ma a testimoniare la “diserzione” del centrosinistra c’è il numero esiguo di gonfaloni e sindaci che, in queste occasioni, tracimano. Abbondavano invece i segmenti della protesta legata alla contingenza: il comparto sanitario per esempio».

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