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Il Giro d’Italia è arrivato in Calabria nella quiete di Serra San Bruno. Secondo i bookmakers il favorito a conquistare questo giro è Bradley Wiggins, corridore britannico del team Sky e vincitore dell’ultimo Tour de France. La quota (circa @2) non merita però di esser giocata, visto che in una grande corsa i pericoli e le cadute sono all’ordine del giorno e non vale la pena puntare su di lui per vincere appena due volte la posta. Dopo il suo strepitoso 2012 che lo ha portato sul gradino più alto del podio del Tour de France e alla medaglia d’oro nella cronometro delle Olimpiadi di Londra, Bradley Wiggins ha grandi obiettivi anche per il 2013. A seguito di questo successo in patria la regina Elisabetta II ha conferito al campione di casa il titolo di Sir. Baronetto. Egli è un rigoroso osservante: ha i capelli squadrati con frangetta ben in vista alla Paul Weller (detto appunto the Modfather) idolo in rock d’Inghilterra; sfoggia basettoni retrò e indossa occhiali neri possibilmente Ray Ban. Ascolta, oltre al succitato Paul Weller ai tempi dei Jam, gli Who, gli Small Faces e gli Oasis, in pratica il walhalla dei mod inglesi. E talvolta, in qualche kit d’allenamento, non disdegna la toppa con circolino bianco-blu-rosso della Raf. E poi. Il campione inglese coltiva una passione: è innamorato della Lambretta. Il mitico scooter italiano. Ne possiede un esemplare. Tutti i tabloid inglesi hanno raccontato e raccontano di quest’amore di Wiggins per lo scooter di Lambrate. Recentemente al “The Guardian” Wiggins ha detto: «Ho buttato l’occhio su una Lambretta gp200, e mi è sempre piaciuta la gp150, che è lo scooter classico di Quadrophenia». Quello che Bradley non sa è che in Calabria esiste il Museo della Lambretta (unico nel suo genere, che si trova a Sellia Marina, nel medio jonio catanzarese), all’interno del quale fa bella mostra di sé la più completa collezione del mondo. Avete capito bene. Del mondo. Il proprietario dell’intera collezione è un anziano prete di un piccolissimo paese calabrese, Soveria Simeri. Don Andrea Bruno, questo è il suo nome, dell’ordine dei padri Barnabiti, è un personaggio. Non è un semplice collezionista, sebbene i suoi pezzi abbiano un valore commerciale e simbolico inestimabile. Egli è la memoria storica di un mezzo di locomozione popolare, la Lambretta, che s’intreccia e s’incastona nella storia della ricostruzione socio-economica dell’Italia che usciva perdente da una tragica guerra. Gli inglesi vanno proprio matti per le Lambrette. Mi disse don Andrea in una delle mie visite al Museo: «Ho ricevuto dalla Gran Bretagna un’offerta per vendere l’intera collezione». Il viaggio nel ventre metallico della Lambretta comincia con una meticolosa descrizione, si direbbe vita e miracoli, di ogni singolo esemplare. La prima serie inizia con il proto-modello del 1947 (modello A) che è seguito nel 1948 dal modello successivo arricchito delle sospensioni anteriori e posteriori e del freno posteriore. Nel 1953 entra in scena il modello C con le bielle oscillanti e il telaio unico. Un modello del 1954 non ha molto successo perché usava l’avviamento a strappo come nei motoscafi, ma allora non c’ era ancora il filo di nailon. Il primo ciclo si chiude nel 1956 con una serie di modifiche: si passa dal raffreddamento ad aria al seggiolino per donne ed altri accorgimenti meccanici ed estetici rilevanti. Di solito don Andrea viaggia con il “Corsaro”, un esemplare del 1954 con clacson a pompetta. Con la Lambretta degli anni ’50 la classe operaia è stata veramente in Paradiso, gli italiani hanno potuto apprezzare un mezzo di locomozione molto trend per quei tempi. Nel 1957 inizia l’era del Lambrettone (125 e 175 cc), cosiddetto perché carenato, quindi con disegni e prestazioni completamente diversi: si introduce l’avviamento elettrico e il raffreddamento forzato con ventola. I favolosi anni ’60 sono accompagnati da questi potenti scooter che raggiungono ragguardevoli velocità: 130, 140 chilometri all’ora. L’ultimo ciclo prima dello spegnimento della fabbrica e del marchio, che avviene agli inizi degli anni ’70, è quello della produzione di scooter leggeri una parte dei quali destinati all’esportazione. Nasce prima il Lambrettino e poi il Lui col manubrio sia in lega che in acciaio. In definitiva la Lambretta non può morire perché c’è gente come don Andrea Bruno che ne mantiene in vita il fascino e, quindi, il mito.
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