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Ho letto di recente che dalla prossima estate cadrà l’ultima roccaforte dei nudisti a New
York. Fra qualche mese scatterà il divieto di andare in spiaggia senza vestiti anche per
«Lighthouse Beach», a Fire Island. La spiaggia era diventato l’unico rifugio per gli amanti
della tintarella integrale da quando lo Stato di New York – nel 1984 – ha proibito il nudo
in pubblico. Ma i guardiani di Fire Island hanno sempre chiuso un occhio. Da ora in poi
invece, ha scritto il New York Times, non sarà più possibile prendere il sole in costume
adamitico, e chiunque voglia esporre le proprie nudità dovrà andare a «Gunnison Beach» in
New Jersey. Con il nuovo divieto, chi infrange la legge sarà multato con 5 mila dollari, e
correrà anche il rischio di essere condannato fino a sei mesi di carcere.
La notizia mi ha ricordato gli anni giovanili quando si poteva andare, con pochi vincoli, al
campo dei nudisti di Isola Capo Rizzuto. Uno dei pochi in Italia.
Da quelle parti ci dovrebbe ancora essere un villaggio di naturisti.
Già, perché bisogna distinguere tra nudisti e naturisti; con questi ultimi che si dividono in naturisti etici e
naturisti commerciali. E poi. Nudismo inteso come un ritorno alla natura, alla salute, alla primitiva innocenza.
Naturismo come scelta per uno stile di vita personale. Più o meno.
Nel settembre del 2010, nel campeggio Pizzo Greco di Isola Capo Rizzuto, si tenne il 32°
Congresso mondiale del naturismo. Un turismo di (piccolissima) nicchia, lontano dalle masse
e dai guardoni.Ricordo che molti anni fa mi recai nell’Isola di Lokrun, in Dalmazia, al largo di Dubrovnik,
dove c’era un famoso campo di nudisti/naturalisti. Un posto quieto, dove ognuno si faceva
gli affari propri, in silenzio, nel rispetto reciproco. Un angolo di civiltà. Naturalmente
si riconoscevano gli italiani. Sempre. Quando sono vestiti per l’eleganza, quando sono nudi
per come gesticolano.
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