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Devo correre in libreria (a proposito: prima o poi parliamo del cliché che vuole il contadino rozzo e ingnorante… e il “cittadino” colto e all’avanguardia) perché ho appreso dalle pagine di Internazionale che un tizio, che guarda caso ha la mi età e come me ha studiato economia politica, tale Corrado Dottori che vive e lavora a Cupramontana, ha lasciato il suo impiego in banca (io no, perché non l’ho mai avuto) e si è messo a fare il vignaiolo e produce Verdicchio sulle colline marchigiane.
Il tizio, apprendo dall’articolo di Jonathan Nossiter (che ha curato la prefazione del volumetto edito da DeriveApprodi) ha scritto “Non è il vino dell’enologo. Lessico di un vignaiolo che dissente”.
Un libro che promette di essere interessante perché prova a mettere la questione del “ritorno alla terra” per il verso giusto. No: non vuole essere un ritorno al passato. «Al contrario. Quello che la crisi del mondo industriale, finanziario, utilitarista, ci consegna è la domanda che occupa tutta la fine del Novecento, dal ’68 in avanti: è possibile fare in modo diverso? La linea che dalla scuola di Francoforte, passando per l’ecologismo, arriva ad esempio al concetto di decrescita non è casuale. Come abita il pianeta l’uomo contemporaneo? Come si relaziona con la natura? Qual è il senso del suo stare-al-mondo nell’epoca del progresso tecnico?».
L’invito alla lettura vale per tutti, ma più che mai per i tanti nuovi viticoltori calabresi che hanno davanti la grande sfida di presentarsi su un mercato che da anni attende di vedere di cosa sono capaci i moderni enotri.
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