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Non bisognerebbe mai dimenticare che quello che in un’epoca si considera conoscenza, nell’epoca successiva potrebbe non essere più considerato tale. Soprattutto non bisognerebbe mai commettere l’errore di considerare la conoscenza acquisita come non più discutibile o, peggio ancora, come completa. Questa semplice considerazione a prima vista può apparire banale e scontata, ma se analizzata con più attenzione può rivelare come il rapporto tra conoscenza, scoperte scientifiche e ignoranza è più complesso di quello che possiamo immaginare.
Paradossalmente, grazie ai grandi progressi scientifici fatti nell’ultimo secolo, la relazione tra scienza e conoscenza oggi è più problematica di quanto lo sia stata in passato. Tuttavia, anche nei secoli scorsi, quando l’universo del sapere era più limitato e tutto appariva più semplice, la questione non era comunque del tutto compresa. Per mostrare la necessità di tenere sempre l’attenzione su questo tema, basterebbe provare a chiedere (se fossero ancora vivi) a tutti quelli che per millenni non hanno usato lo zero nei loro sistemi di numerazione. Oppure a quelli che hanno sempre creduto che il Sole girasse intorno alla Terra (forse qualche tapino ci crede ancora oggi). Si potrebbe chiedere anche a quelli che hanno sempre pensato che il petrolio servisse solo per impermeabilizzare le imbarcazioni o ancora a quelli che per secoli hanno curato ogni malattia con il salasso.
Tutta questa immensa umanità era convinta di avere conoscenze approfondite, saperi millenari, ed era invece popolata da grandi ignoranti. Ed anche se si può facilmente buttare la croce addosso ai nostri antenati, non è il caso di esagerare: ignoranti lo siamo certamente anche noi oggi nell’epoca di internet e di Google perché, senza pensare ai tanti incompetenti che popolano le nostre contrade, sono tante e immense le domande che ci poniamo e i problemi che vorremmo risolvere, senza sapere come farlo.
In un recente libro pubblicato dalla Oxford University Press, dal titolo Ignorance: How it drives science (Ignoranza: Come questa guida la scienza), Stuart Firestein, discutendo del rapporto tra ignoranza e scienza fa notare che “la conoscenza è una questione importante, ma l’ignoranza lo è ancora di più”. Per il docente di neuroscienze della Columbia University, è il “non conosciuto” che spinge i ricercatori a trovare nuove soluzioni, non tanto il “già noto”. Insomma, fare ricerca per ottenere risultati scientifici non è come pelare una cipolla, strato dopo strato fino ad arrivare progressivamente al centro, ma è molto più simile alla ricerca di un gatto nero in una stanza buia, con la complicazione che il gatto in quella stanza potrebbe anche non esserci. Come dice Firestein, fare ricerca è come comprare un puzzle che non necessariamente ha tutti pezzi e alcuni di quelli che ci sono, possono anche non combaciare tra loro.
Nei laboratori e nelle menti dei ricercatori c’è una lotta quotidiana contro l’ignoranza, ma è importante che a guidarla sia la consapevolezza che il processo non è lineare e che una nuova scoperta ci può mostrare che i problemi da risolvere sono anche maggiori e più complessi di quelli a cui abbiamo trovato una soluzione. Se questo principio fosse condiviso anche dalla gente comune avremmo un mondo un po’ più attento di quello in cui viviamo e la tanta ignoranza che c’è in giro potrebbe essere usata per fini positivi. Un po’ come la spazzatura che, se raccolta in maniera attenta, da problema si può trasformare in ricchezza.
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