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CATANZARO – Cinque anni di reclusione per don Alfredo Luberto, due in meno rispetto alla sentenza di primo grado. Si è concluso così il processo d’appello sull’istituto Papa Giovanni XXIII di Serra D’Aiello. Il sacerdote era accusato, insieme ad altre dieci persone, di associazione per delinquere, appropriazione indebita, abbandono d’incapaci e altri reati minori. Il procuratore generale Eugenio Facciolla aveva chiesto nove anni. L’impianto dell’accusa ha sostanzialmente retto, la riduzione della pena è dovuta alla prescrizione di alcuni reati minori. Gli altri imputati sono stati recentemente giudicati in primo grado con rito ordinario e divrse condanne.

Don Luberto venne arrestato nel 2007. Secondo l’accusa, all’Ipg XXIII ne succedevano di tutti i colori: pazienti abbandonati a se stessi e in condizioni pazzesche, mentre il sacerdote si arricchiva con i soldi che dovevano servire alla gestione dell’Istituto trasformato in una specie di lager. Al prelato vennero sequestrati diversi beni tra cui un appartamento nel centro di Cosenza con tanto di vasca idromassaggio. Si parlò anche di degenti scomparsi in circostanze misteriose e s’ipotizzò addirittura un traffico d’organi legato all’istituto, ma sul punto, le indagini non hanno portato a conclusioni processualmente rilevanti. 

Nel dispositivo di sentenza, sempre in riferimento al processo conclusosi ieri, figura anche l’assoluzione di Bernardino De Simone, condannato in primo grado a 4 mesi, e la conferma della condanna a 4 mesi per l’ex direttore sanitario della struttura, Mario Carpino.

A fine udienza abbiamo raccolto la testimonianza di Nunzio Raimondi, avvocato della curatela fallimentare e dell’amministrazione giudiziaria dell’Ipg XXIII: «Esprimo soddisfazione per la sostanziale conferma dell’impianto accusatorio e soprattutto per il riconoscimento di tutte le statuizioni civili della sentenza di primo grado, che andranno a risarcire l’istituto per i gravi danni subiti a causa dei reati commessi dagli imputati».

 

 

 

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