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Fare calcio a Potenza, perché? Ce lo domandiamo quanti di noi ci siamo scottati e ri-scottati, ustionati quasi
Se lo chiedono quanti vengono tentati dal solo nome della città capoluogo, dal suo vecchio quanto lontano blasone, in una parola solo: dalla piazza(mi chiedo però quale delle adorne piazzette potentine).
Una volta eravamo terra di conquista e spesso è capitato (capita ancora?) che si affacciasse qualche amico campano, qualche pseudo-imprenditore venuto pure dal lontano Nord Italia. Tutti per fare opera di bene. E la caratteristica di questa città è che più la gente viene da fuori e maggiormente si aprono le porte, il cuore pure. Tutte, o quasi tutte, esperienze fallimentari
Oggi pare che non si corra neanche più questo rischio. A Potenza non viene nessuno, non vuole venire nessuno.
Far calcio a Potenza perché? Potenza ad oggi non riesce ad esprimere più neanche una squadra in Eccellenza in un campionato, rispetto agli altri italiani, a ritmi molto bassi. Qualcuno lo definisce veramente scarso. Mentre scrivo passano inesorabili le ore che ci dividono dallultimatum di Grignetti, altro generoso che teme lisolamento. Come hanno isolato tutti quelli che si accostano al leone rampante (sempre meno rampante).
Questa è la terra delle dimissioni. Dimissionari a ruota tutti i Presidenti nelle ultime stagioni. Alcuni pure pluri-dimissionari. Io stesso mi sono dimesso da amministratore unico. La dimissione è un atto estremo, la caduta delle illusioni, il senso di incomprensione. Il parlare senza neanche il supporto di una eco
Chi si dimette non ha neanche più la forza e la voglia di parlare e di fare dichiarazioni. Ci si dimette pure tramite mail ai propri compagni di avventura o, meglio ancora, con un sms (io però feci una conferenza stampa).
Non so se da qualche parte ci sia ancora qualcuno capace di utilizzare (qualora esistesse) la bacchetta magica e dincanto riportare il calcio potentino ad una condizione almeno dignitosa.
Inevitabilmente occorre mettere in campo capitali, commisurati alla posta in gioco. E per avere questi occorrono investitori capaci di lasciare comunque la porta aperta ai generosi benefattori (esistono ancora?).
Il Potenza di Postiglione non si iscrisse al campionato di 2^ Divisione per mancanza di soldoni. Tutti gli appelli per cercare di salvare il professionismo sortirono leffetto di chi grida nel deserto. Il Potenza di Capobianco ha fallito nel suo tentativo di continuare un campionato di serie D perché illuso da aiuti che sarebbero piovuti dal celo, come la biblica manna. Che non è arrivata. Questa è stata la volta che pure la pista bulgara sembra abbia creato interrogativi.
La crisi economica e la forte congiuntura che mette in ginocchio tutti i settori non può passare indifferente e con massima sicurezza va imputato a questo una delle principali cause della difficoltà che il settore calcistico e quello sportivo, in genere, stanno attraversando. Ma non credo che sia solo questo, come non credo che la colpa sia solo del Postiglione, Capobianco, Gioia e Ferrara di turno.
Il problema non è il Potenza (questo o quello che sia). Il problema è Potenza. Non mi riferisco naturalmente al cuore grande dei veri tifosi ed appassionati. E allora la domanda è: Potenza vuole il Potenza? La città crede veramente nella rinascita del calcio e nei benefici che essa comporta? Il calcio è un valore, non un campanilismo. Generazioni di potentini hanno vissuto negli anni scorsi con la sciarpa rossoblù al collo, nei bar e nei luoghi di incontro non si parlava di altro. Le estati erano infiammate da discussioni sul calciomercato. E poi lo spettacolo della domenica al Viviani
I più giovani che vivevano di calcio nei vivai in cui si preparavano a diventare calciatori con il sogno di vestire prima o poi la casacca rossoblù già indossata dai grandi campioni. E poi linteresse mediatico, il fascino della radio delle Tv e le pagine e pagine di articoli sportivi sulle testate locali. Tutto spazzato via. Anche la coscienza sportiva sembra caduta in uno stato di torpore.
E ci richiediamo: Potenza vuole il (un) Potenza? Ma la domanda va fatta a chi non può né deve esimersi dal rispondere. Va fatta a chi ha il governo della città. Non può non scendere in campo la politica, quella buona, quella sana, la politica cittadina. Quella che si interessa del bene comune, sicuri come siamo che il calcio si riscontra pienamente in esso.
Non è più il tempo degli alibi: non compromettersi con situazioni sportivamente non chiare, dualismo della presenza in città,
E il tempo che cada la maschera dellipocrisia. Il calcio per rinascere ha bisogno di un intervento forte e decisivo. Ha bisogno della forza persuasiva di chi possa essere in condizione di invitare le forze attive, imprenditive della città a spendersi per un bene comune. Cè gente in città che deve dire grazie alla politica cittadina e alla comunità in cui opera. Essi dovrebbero sentire lobbligo morale di dare una mano. Tanto di guadagnato se dietro la scorza dellimprenditore di turno batta un cuore sincero ed una passione verace.
FARE calcio a Potenza, perché? Ce lo domandiamo quanti di noi ci siamo scottati e ri-scottati, ustionati quasi.
Se lo chiedono quanti vengono tentati dal solo nome della città capoluogo, dal suo vecchio quanto lontano blasone, in una parola solo: dalla piazza (mi chiedo però quale delle adorne piazzette potentine). Una volta eravamo terra di conquista e spesso è capitato (capita ancora?) che si affacciasse qualche amico campano, qualche pseudo-imprenditore venuto pure dal lontano Nord Italia. Tutti per fare opera di bene. E la caratteristica di questa città è che più la gente viene da fuori e maggiormente si aprono le porte, il cuore pure. Tutte, o quasi tutte, esperienze fallimentari
Oggi pare che non si corra neanche più questo rischio. A Potenza non viene nessuno, non vuole venire nessuno. Far calcio a Potenza perché? Potenza ad oggi non riesce ad esprimere più neanche una squadra in Eccellenza in un campionato, rispetto agli altri italiani, di livello molto basso. Qualcuno lo definisce veramente scarso. Mentre scrivo passano inesorabili le ore che ci dividono dallultimatum di Grignetti, altro generoso che teme lisolamento. Come hanno isolato tutti quelli che si accostano al leone rampante (sempre meno rampante). Questa è la terra delle dimissioni. Dimissionari a ruota tutti i Presidenti nelle ultime stagioni. Alcuni pure pluri-dimissionari. Io stesso mi sono dimesso da amministratore unico. La dimissione è un atto estremo, la caduta delle illusioni, il senso di incomprensione. Il parlare senza neanche il supporto di una eco
Chi si dimette non ha neanche più la forza e la voglia di parlare e di fare dichiarazioni. Ci si dimette pure tramite mail ai propri compagni di avventura o, meglio ancora, con un sms (io però feci una conferenza stampa). Non so se da qualche parte ci sia ancora qualcuno capace di utilizzare (qualora esistesse) la bacchetta magica e dincanto riportare il calcio potentino ad una condizione almeno dignitosa. Inevitabilmente occorre mettere in campo capitali, commisurati alla posta in gioco. E per avere questi occorrono investitori capaci di lasciare comunque la porta aperta ai generosi benefattori (esistono ancora?).
Il Potenza di Postiglione non si iscrisse al campionato di Seconda Divisione per mancanza di soldoni. Tutti gli appelli per cercare di salvare il professionismo sortirono leffetto di chi grida nel deserto. Il Potenza di Capobianco ha fallito nel suo tentativo di continuare un campionato di serie D perché illuso da aiuti che sarebbero piovuti dal celo, come la biblica manna. Che non è arrivata. Questa è stata la volta che pure la pista bulgara sembra abbia creato interrogativi.
La crisi economica e la forte congiuntura che mette in ginocchio tutti i settori non può passare indifferente e con massima sicurezza va imputato a questo una delle principali cause della difficoltà che il settore calcistico e quello sportivo, in genere, stanno attraversando. Ma non credo che sia solo questo, come non credo che la colpa sia solo del Postiglione, Capobianco, Gioia e Ferrara di turno.
Il problema non è il Potenza (questo o quello che sia). Il problema è Potenza. Non mi riferisco naturalmente al cuore grande dei veri tifosi ed appassionati. E allora la domanda è: Potenza vuole il Potenza? La città crede veramente nella rinascita del calcio e nei benefici che essa comporta? Il calcio è un valore, non un campanilismo. Generazioni di potentini hanno vissuto negli anni scorsi con la sciarpa rossoblù al collo, nei bar e nei luoghi di incontro non si parlava di altro. Le estati erano infiammate da discussioni sul calciomercato. E poi lo spettacolo della domenica al Viviani
I più giovani che vivevano di calcio nei vivai in cui si preparavano a diventare calciatori con il sogno di vestire prima o poi la casacca rossoblù già indossata dai grandi campioni. E poi linteresse mediatico, il fascino della radio delle Tv e le pagine e pagine di articoli sportivi sulle testate locali. Tutto spazzato via. Anche la coscienza sportiva sembra caduta in uno stato di torpore.
E ci richiediamo: Potenza vuole il (un) Potenza? Ma la domanda va fatta a chi non può né deve esimersi dal rispondere. Va fatta a chi ha il governo della città. Non può non scendere in campo la politica, quella buona, quella sana, la politica cittadina. Quella che si interessa del bene comune, sicuri come siamo che il calcio si riscontra pienamente in esso.
Non è più il tempo degli alibi: non compromettersi con situazioni sportivamente non chiare, dualismo della presenza in città,
E il tempo che cada la maschera dellipocrisia. Il calcio per rinascere ha bisogno di un intervento forte e decisivo. Ha bisogno della forza persuasiva di chi possa essere in condizione di invitare le forze attive, imprenditive della città a spendersi per un bene comune. Cè gente in città che deve dire grazie alla politica cittadina e alla comunità in cui opera. Essi dovrebbero sentire lobbligo morale di dare una mano. Tanto di guadagnato se dietro la scorza dellimprenditore di turno batta un cuore sincero ed una passione verace.
*ex Direttore Generale del Città di Potenza
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