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CI sono tanti modi di parlare di Matera, e altrettanti di viverli. La città è un caleidoscopio che si offre al visitatore con una faccia di volta in volta diversa: c’è, ad esempio, quella magica, sotterranea, ancestrale come i suoi anfratti; e quella, all’incontrario, drammatica e concreta come le sue pietre. Luci e ombre. Nell’un caso e nell’altro si capisce perché, al di là delle facili suggestioni legate alla storia e alla morfologia del suo territorio, Matera abbia attratto – da almeno sessanta anni in qua – decine di registi da ogni parte del mondo. Dire, però, che Matera è una città cinematografica, ovvero che,  assieme a pochi altri luoghi al mondo, ha una naturale vocazione scenica, non basta. E non basta proprio per le ragioni dette all’inizio: perché Matera è anche una città di profondi contrasti. Sfuggente, dunque: e per rappresentarla, cogliendone il senso senza esserne soggiogati o fuorviati, bisogna essere artisti tre volte forti. Città di caverne, Matera rischia infatti di ingenerare nei suoi visitatori lo stesso fascino equivoco che Platone attribuiva agli uomini incatenati, per l’appunto, in una caverna, e di far sì che le sue ombre vengano scambiate per realtà. Il fascino, ha detto qualcuno, “è sempre qualcosa di inquietante, perché il fascino è una stregoneria: letteralmente, uno di quei malefici che un tempo si chiamavano ligature”.

Luci e ombre, dunque. Realtà e incanto. Rappresentare la città è un esercizio visivo che richiede, nonostante la teatralità dei luoghi, e anzi proprio per questo, un’estrema consapevolezza. Non c’è arte senza conoscenza. E questo, come vedremo, è particolarmente vero per la cinematografia. La premessa era necessaria per introdurre l’incontro promosso dall’Accademia internazionale della luce e dall’azienda Frascella (sabato, alle ore 16, a Palazzo Lanfranchi di Matera) con Vittorio Storaro, uno dei maestri mondiali della fotografia, il quale svolgerà una lezione sulla luce: sulla complessità di un’arte, quella legata alle immagini, che si muove tra mito e ragione, sogno e realtà.

Vincitore di tre Oscar con film come “Apocalipse now” di  Francis Ford Coppola, “Reds” di Warren Beatty, e “L’ultimo imperatore”, di Bernardo Bertolucci, Storaro non è soltanto uno dei grandi protagonisti del cinema internazionale degli ultimi 40 anni, ma un autore che, fin dai suoi inizi, non ha mai smesso di interrogarsi sul senso del suo lavoro e sull’essenza stessa della fotografia, vale a dire sulla luce.

“Sin dall’età dell’innocenza, intorno al 1950 – racconta di sé Storaro -, immaginavo una scuola sul mistero della luce: la fotografia. Fin dall’età della consapevolezza, intorno al 1970, ho sentito il bisogno di uno studio approfondito, a carattere universitario, sulla scrittura della luce in movimento: la cinematografia. E nell’età della maturità, intorno al 1990, mi sono ritrovato nella città dell’Aquila a fare seminari sul mio percorso creativo”. Tant’è che l’Aquila, afferma, diventa per vari anni un punto d’incontro mondiale sulla cinematografia e  una sede di alto insegnamento delle arti visive. “Una scuola – aggiunge Storaro – volta non soltanto allo studio della tecnologia classica e moderna, ma alla conoscenza di tutte le arti relative alla visione e all’immaginario. Nacque così l’Accademia delle arti e delle scienze dell’immagine… Le mie ricerche e i miei studi sul concetto di “scrivere con la luce” furono i libri di testo con cui potei trasferire a nuove generazioni la conoscenza dei significati simbolici, fisiologici, drammaturgici: della luce, dei colori, degli elementi”. 

Fin dall’inizio della sua attività, Storaro dice di essere stato affascinato dalla luce, “dalle sue possibilità di scrittura, dal suo valore di dialogo tra gli elementi contrastanti che la compongono”. E’ poi passato, afferma, a “esplorare dall’interno la luce stessa scoprendone le valenze espressive dello spettro cromatico, i colori che la compongono, dedicandosi poi allo studio degli elementi fondamentali della vita ed alla loro possibile rappresentazione visiva”. Ma in questi ultimi anni, confessa, la sua attenzione “è stata rapita dalle intuizioni creative simbolizzate dalle muse, dalla possibilità di pre-veggenza creativa dei visionari e divinatorie dei profeti”.

Dei suoi studi sulla luce sono una testimonianza gli scritti acutissimi su Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio. Per la cui pittura Storaro fa riferimento proprio al mito della caverna di Platone. “Questo mito – spiega – si ritrova perfettamente nei suoi dipinti per il rapporto ombra-luce, inconscio-cosciente, che Caravaggio perennemente ripropone. Nelle sue visualizzazioni pittoriche della realtà, nei suoi dipinti l’ombra è la vera protagonista, più che la luce, essa è la materia prima in cui il suo inconscio scolpisce”. A portare Storaro a Matera è Emanuele Frascella, membro dell’Accademia internazionale della Luce. “Un’iniziativa nata per caso”, spiega. “A suggerirmela è stata il presidente dell’Accademia, Maurizio Gianandrea, mentre mi trovavo a Roma per frequentare uno dei corsi promossi dall’Istituto. Inizialmente si era pensato di promuovere un evento lungo, quattro-cinque giorni, da dedicare al tema della luce. Ma per organizzare una cosa così ci voleva troppo tempo: occorreva contattare le istituzioni, convolgerle nell’evento…Così abbiamo deciso di invitare a Matera Storaro. Chi più di lui, che è un maestro della fotografia noto in tutto il mondo, avrebbe potuto catalizzare un evento su un tema così? Così lo abbiamo contattato, e lui ha subito accettato. Mi ha chiesto soltanto la cortesia che fossi io ad accompagnarlo a Matera. Abbiamo appuntamento sabato mattina a Roma, a casa sua. Poi, di corsa a Matera. Il suo entusiasmo mi ha riempito d’orgoglio. Ma a Matera, ormai, vengono tutti volentieri. L’immagine della città, in questi ultimi anni, è cresciuta molto, e per noi è diventato molto più semplice invitare personalità di questa levatura”.

Titolare dal 1990 di un’azienda che si occupa di illuminazione e tra i soci del Circolo della Scaletta, Frascella ha una vera passione per la luce. Con la sua ditta realizza gli impianti di illuminazione di piazze, monumenti,  centri storici. “Ma per me non si tratta soltanto di un lavoro”, dice. “Voglio diffondere a Matera la cultura della luce. Voglio che maestri come Storaro vengano qui a raccontarci che lavorare con la luce può essere un’arte. Questa è soltanto la prima iniziativa dell’Accademia internazionale della luce a Matera. Ne organizzeremo altre”.  

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