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L’ultima volta che ho dialogato col poeta e scrittore Nunzio Festa, figlio della Basilicata di Scotellaro ed erede d’una tradizione che incontra la paesologia d’Arminio e la beat anti-yankee, era appena stato pubblicato per le edizioni Senzapatria il suo romanzo breve, “Farina di sole”, invece adesso è uscito il suo “Basilicata. La Lucania: terra dei boschi bruciati. Guida narrata coi luoghi e il resto”, presso le edizioni Golena/Malatempora, già egregiamente presentato tra l’altro da Rosa Salvia.

 Solitamente nella tua prosa e nella tua poesia, il luogo d’origine, lo spazio di resistenza ed esistenza ha un ruolo molto importante. Ma adesso hai scelto d’entrarci pienamente per descriverli. Anche se lo fai spostandoti rapidamente da un punto all’altro della carta geografica lucana, come vedremo. Perché hai sentito quest’esigenza?

«Innanzitutto per dare un atto estremo d’amore per la madre originaria. Sostenuto dal racconto per immagini e giudizi, passami il termine, su pezzettini fascinosi della Basilicata. Pezzi di terra e bellezze già attraversati da artisti e intellettuali, spesso descritte perfino, e adesso pronte al turismo di massa, oltre che a quello di qualità oppure, diciamo, non invasivo in quanto molto più rispettoso dei posti. Però allo stesso tempo so e ‘dimostro’ che si tratta di pezzi di terra e bellezze, naturali e artistiche, oggetto e soggetto di speculazione, e a volte speculazione rapace. Bellezze che si fanno tavola tante volte imbandita, insomma, per interessi soltanto particolari».

Quindi l’argomento della devastazione dei boschi per mano degli incendi è anche metafora d’altro?

«Certo, dici bene. Perché se innanzitutto prendiamo l’argomento in quanto tale: dobbiamo dire che bisognerebbe esser intransigenti con quante e quanti s’occupano del tema ingombrante e desolante della devastazione del paesaggio naturale, con gli esecutori materiali delle azioni e con chi non immagina soluzioni opportune al problema. E questo modo di ragionare, appunto, potremmo industriarci di viverlo su tante altre materie: dissesto idrogeologico, estrazioni petrolifere, spopolamento ecc. Questioni che invece realmente a pochi interessano».

E perché hai scelto questi punti e non altri? Il libro si sviluppa, esplorandoli, soltanto in alcuni punti della Basilicata. Hai deciso di narrare alcuni posti usando lampi letterari, per spiegarceli. Ma perché in buona sostanza solamente alcuni, dei tanti paesi della tua Lucania hai preso a esempio, a modello?

«Spesso è stato un caso, devo ammettere. Tanto che un mio amico, il poeta Valerio Cascini m’ha scherzosamente bacchettato. Poi ho voluto prendere dei punti della Basilicata che a me, prima di tutto, facessero un certo effetto, e par varie ragioni. Sia per quello che custodiscono che per alcune usanze tramandate da secoli. Vedi il Volo dell’Angelo. Però se non ho detto del paese natale di Cascini, e devo farne ammenda, purtroppo, visto che lì c’è per altro la tradizione della ‘Ndenna (un antico rito arboreo) non avrei potuto sicuramente dimenticare, al contrario, la mia Pomarico. E non avrei potuto d’altro canto far a meno di parlare di Matera, della città dei Sassi che da patrimonio mondiale dell’umanità Unesco sta addirittura, adesso, tentando il percorso utile alla conquista del titolo di Capitale europea della Cultura nel 2019. Per me Matera non vale più di Castelsaraceno, Pomarico, Miglionico, Montescaglioso o, perfino, del capoluogo di regione Potenza comunque. Il fatto è che la Matera attraversata da Pasolini e Gibson va guardata, come se ne volessimo fare un puntino emblematico dell’intero Sud, e non solo, anche con occhi abituati a contestualizzare il fascino del passato nello scempio che alcuni aspetti della modernizzazione vergata d’interesse particolare ci rendono, restituiscono a noi briciole delle comunità. Tipo la cementificazione. Ma non soltanto questo male esiste, certo».     

 Dici inoltre che si tratta, in un certo senso, d’una continuazione di “Birra di paese. Piccolo viaggio nei luoghi che perdono popolazione e prendono birra” (Arduino Sacco Editore, Roma). In che senso?

«E nonostante nessuno abbia, alla fine, continuato quel discorso vorrei innanzitutto ricordare. Al contrario, appunto, di come mi sarei aspettato e di quanto avevo auspicato con quella piccola pubblicazione. Il problema più grave è che siamo abituati a esser occasionali, dove si preferisce lo sfogo alla vera riflessione su presente e futuro. Della Basilicata, del Sud. E dell’ex Belpaese tutto».  

La lingua è la solita, possiamo però dire.

«Tanto è vero, aggiungerei pure, che la versione e-book del libro contiene in più rispetto all’edizione cartacea il poemetto “Le magnifiche e progressive”».  

La tua collaborazione con spazi telematici e cartacei, t’ha aiutato nello scrivere il “Basilicata”?

«La collaborazione da critico con diversi spazi web e qualche giornale (Il Quotidiano della Basilicata su tutti), per esempio, con la lettura di molti libri di saggisti, scrittori e poeti, è sicuramente servita moltissimo. Alla pari alla collaborazione da cronista in questa regione, tra Matera e provincia, che m’ha permesso di seguire anche professionalmente alcune vicende legate al territorio lucano nella sua interezza. Ma senza tralasciare le relazioni di questa terra e delle sue classi dirigenti, oltre che del suo popolo, con l’esterno».

Ora cosa stai facendo o cosa farai? Andrai avanti leggendo e scrivendo la Lucania?

«Per il momento, non più in un libro compiuto. Premesso che sto scrivendo meno in versi, vorrei poter pubblicare un altro romanzo breve che ho chiuso in una prima versione, col titolo forse provvisorio di “Frutta, verdure e anime bollite”. Che, d’altronde, passa parecchio dalle mie parti. E ho qualche altro piccolo progetto in divenire».

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