«CON questo film, sento di aver fatto un passo in avanti». A dirlo è Rocco Papaleo, mentre in treno attraversa gli Appennini per il tour di presentazione del suo nuovissimo film “Una piccola impresa meridionale”. In effetti Rocco in questa nuova pellicola si libera “giocosamente” della Basilicata e realizza un’opera bellissima, dove i tanti temi si fondono con il solito simbolismo, fino a formare poesia cinematografica pura. Il film è terreno ed aulico con un registro di immagini e metafore mai usato finora nel cinema per discutere di temi importanti. Il suo tour lo porterà in Basilicata domani dal 17.30 al “Multicinema Ranieri”; nella sua terra tutto sarà diverso e in anteprima rispetto all’incontro, con la solita gentilezza, Rocco si concede ad un’intervista per il Quotidiano della Basilicata.
Rocco. Che effetto ti fa tornare in Basilicata con un nuovo film?
«Vengo giù non tanto per il film, che è il pretesto, ma perché ho voglia di rifare un po’ il punto della situazione. Questo riguardo alla mia relazione con la mia terra. Voglio parlare di questa nuova struttura, la Lucania Film Commission che è uno dei risultati più belli scaturiti un po’ dall’esperienza di “Basilicata coast to coast” ma soprattutto mi piacerebbe riconfrontarmi con la mia gente, con il popolo lucano. Ci sono stati alti e bassi, in questi anni, rispetto a tante questioni e spero di poter essere chiaro e rispondere, approfondire tutti i temi che riguardano me, il mio rapporto e anche cosa sta succedendo in Basilicata in questo momento nel mio settore».
Questo tuo ritorno può essere quindi inteso anche come un riappacificazione con quelle frange che ti avevano accusato ed offeso, anche con cartelloni, per la questione finanziamenti Eni e Total ?
«Sinceramente non sono così contrario a quella polemica. Tutto sommato l’ho trovata anche lecita. Si tratta poi di capire in che termini e che tipo di discussione si deve fare piuttosto che fare della demagogia un po’ gratuita. Approfondire è diverso che offendere. Ci sono stati degli estremismi come i cartelli visti in televisione che hanno nociuto moltissimo alla mia salute perché pensavo di non meritarlo. Sull’ecologia trovo che sia interessante che ci siano delle frange che sollevano una protesta, solo che va dibattuta nelle sedi giuste e tra le persone giuste. Questa è una questione che mi piacerebbe approfondire, se verrà fuori anche in questo incontro».
In Basilicata coast to coast fu criticato il personaggio di Maria Teresa che fa l’amore con due uomini pochi giorni prima del suo matrimonio. In “ Una piccola impresa meridionale” addirittura rafforzi la tua critica al perbenismo. Hai continuato il discorso?
«Diciamo che la questione di Maria Teresa è stata travisata, perché comunque si deve leggere sempre un simbolismo dietro le rappresentazioni cinematografiche. Se permetti questa affermazione: nel “mio cinema” (anche se ho fatto due film in croce) il tono che cerco è comunque un tono poetico. Questo vuol dire che non sono film realistici anche se hanno una forma realistica. Se dovessi definire quello che faccio, userei un neologismo, il “verosimilismo”: qualcosa che abbia uno slancio poetico e una forma realistica. Il discorso di Maria Teresa era portare la donna in cima alla piramide, era un omaggio alle donne e non il contrario. In questo film è ancora di più un omaggio alle donne. Tratto il tema dell’omosessualità ed uso due donne proprio per dare una versione poetica. Ho ancora una spinta verso uno schematismo morale che chiaramente rifuggo».
Nonostante questo ultimo film è girato praticamente in un luogo fisso sembra si muova molto di più di “Basilicata coast to coast”. E’ così?
«La drammaturgia fa questo lavoro. Il mio primo film era più facile da mettere in scena da un punto di vista drammaturgico, perché tutti si muovono e non c’era bisogno di un approfondimento, era il viaggio che lo sosteneva. In questo caso il viaggio deve essere ancora di più esistenziale, ancora di più strutturato da un punto di vista dell’introspezione e quindi bisognava far muover più le anime che i corpi».
Dal primo film sono passati tre anni e mezzo. Da dove è nata questa nuova e profonda ispirazione che hai detto sempre di voler trovare per realizzare un nuovo film?
«Ho dovuto aspettare veramente una storia che mi convinceva ed è arrivata, nei termini, ancora più forte che in Basilicata coast to coast. In quest’ultimo c’era un riflesso più personale, c’era dentro una autobiografia. Questa volta invece la voglia era di raccontare un’escalation diversa, sollevando temi e questioni più oggettive. Mi sono arrivate queste suggestioni e mi sono messo a fare un secondo film».
Tra i tanti temi, dai una concezione diversa della coppia. E’ una presa di posizione sul fallimento della coppia tradizionale, quella per tutta la vita?
«E’ un po’ una picconata al muro dell’ipocrisia. Non nega la longevità di una relazione, attacca l’ipocrisia che la sostiene quando ormai i sentimenti sono mutati. Nel momento in cui non c’è più quella solidità sentimentale in una coppia ma perché non provare a costruirsene un’altra. A volte si rimane insieme solo perché non si vuole affrontare lo scandalo della separazione».
Il tuo personaggio è un prete spretato. Racconti certamente di una spiritualità laica ma attacchi anche il sistema chiesa?
«E’ dare una legittimità alla ricerca della spiritualità aldilà dello schematismo religioso. Più della chiesa, della religione in genere che costringe inevitabilmente ad uno schematismo anche necessario per l’istituzione chiesa. La rispetto e la comprendo questa spiritualità ma voglio dire che ne esiste anche una fuori. Il mio personaggio che esce fuori dall’istituzione ecclesiastica non è che non crede più in Dio, anzi è una persona che ritrova la sua spiritualità».
Ad un certo punto del film, c’è il funerale del padre di Riccardo Scamarcio, in cui praticamente tutti i segreti vengono a galla, sembra un epilogo ma è a metà del film. Perché questa scelta?
«Di fatti è il momento in cui si tirano le somme, tutti vengono a sapere tutto di tutti. Parte da qui una nuova fase, in cui si forma questa comunità nel faro. Non c’è più nessun segreto tra di loro, l’opinione pubblica sa tutto. La seconda fase della storia quella in cui queste persone che sono più o meno in contrapposizione o quanto meno c’è una contrapposizione tra mamma e figli, danno vita alla storia della loro ristrutturazione».
Il pezzo di Erica Mou “Dove cadono i fulmini” è arrivato dopo la realizzazione del film. Come è nata questa collaborazione?
«Ho sentito un’esigenza, mi aveva messo una pulce nell’orecchio uno degli attori. Ho sentito il pezzo di Erica ed ho capito che doveva entrare nel film, non come commento ma proprio come una narrazione. Proprio in quel momento lì dove si fa il punto della quotidianità dei personaggi approdati a questa nuova comunità. Le ho chiesto una versione acustica in modo che le parole fossero ancora più esplosive. Abbiamo creato una sequenza appositamente, un minuto e 50 di immagini. E’ straordinaria Erica, una ragazzetta neanche di 23 anni di un’acutezza e di una musicalità straordinaria».
Interessante anche il cast di attori. Ma perché hai consegnato a Scamarcio e alla bellissima Sarah Felberbaum due personaggi diversi da quelli che di solito interpretano?
«Proprio perché credevo in questi attori. Noi attori cerchiamo sempre qualcosa che si allontani da quello che abbiamo già fatto e quindi Riccardo si è sentito particolarmente stimolato. Anche Sarah che è sempre una sorta di Grace Kelly nei film che ha fatto, qui è una badante anche un po’ mascolina, vestita larga, sempre bellissima è, però è in un’accezione totalmente diversa dal solito».
Per chi non avesse capito tutte le sfaccettature del film, hai realizzato anche un libro. Segna un futuro da scrittore?
«Anche in “Basilicata coast to coast”, avevamo scritto un racconto inserito poi nel dvd. Scriviamo sempre un po’ con un gusto letterario proprio per mettere le parole una dietro l’altra. Quindi c’era già una specie di romanzo, poi l’ha letto un editor della Mondadori, perché era amico di Walter Lupo il mio alterego. A lui è piaciuto. E’ una cosa mascherata da operazione commerciale, detta operazione “maiale” che non si butta via niente, ma in realtà è certamente la voglia di approfondire i temi del film».
Rocco, come al solito ormai, la fine del film è semi –lieta…
«Come un po’ in Basilicata coast to coast, le cose si risolvono tra i personaggi ma per l’esterno lascia una sorta di : “ poi si vedrà”».
Concludiamo. Per te cosa è la Bellezza?
«La Bellezza è la melodia».
«CON questo film, sento di aver fatto un passo in avanti». A dirlo è Rocco Papaleo, mentre in treno attraversa gli Appennini per il tour di presentazione del suo nuovissimo film “Una piccola impresa meridionale”. In effetti Rocco in questa nuova pellicola si libera “giocosamente” della Basilicata e realizza un’opera bellissima, dove i tanti temi si fondono con il solito simbolismo, fino a formare poesia cinematografica pura. Il film è terreno ed aulico con un registro di immagini e metafore mai usato finora nel cinema per discutere di temi importanti. Il suo tour lo porterà in Basilicata domani dal 17.30 al “Multicinema Ranieri”; nella sua terra tutto sarà diverso e in anteprima rispetto all’incontro, con la solita gentilezza, Rocco si concede ad un’intervista per il Quotidiano della Basilicata.
Rocco. Che effetto ti fa tornare in Basilicata con un nuovo film?
«Vengo giù non tanto per il film, che è il pretesto, ma perché ho voglia di rifare un po’ il punto della situazione. Questo riguardo alla mia relazione con la mia terra. Voglio parlare di questa nuova struttura, la Lucania Film Commission che è uno dei risultati più belli scaturiti un po’ dall’esperienza di “Basilicata coast to coast” ma soprattutto mi piacerebbe riconfrontarmi con la mia gente, con il popolo lucano. Ci sono stati alti e bassi, in questi anni, rispetto a tante questioni e spero di poter essere chiaro e rispondere, approfondire tutti i temi che riguardano me, il mio rapporto e anche cosa sta succedendo in Basilicata in questo momento nel mio settore».
Questo tuo ritorno può essere quindi inteso anche come un riappacificazione con quelle frange che ti avevano accusato ed offeso, anche con cartelloni, per la questione finanziamenti Eni e Total ?
«Sinceramente non sono così contrario a quella polemica. Tutto sommato l’ho trovata anche lecita. Si tratta poi di capire in che termini e che tipo di discussione si deve fare piuttosto che fare della demagogia un po’ gratuita. Approfondire è diverso che offendere. Ci sono stati degli estremismi come i cartelli visti in televisione che hanno nociuto moltissimo alla mia salute perché pensavo di non meritarlo. Sull’ecologia trovo che sia interessante che ci siano delle frange che sollevano una protesta, solo che va dibattuta nelle sedi giuste e tra le persone giuste. Questa è una questione che mi piacerebbe approfondire, se verrà fuori anche in questo incontro».
In Basilicata coast to coast fu criticato il personaggio di Maria Teresa che fa l’amore con due uomini pochi giorni prima del suo matrimonio. In “ Una piccola impresa meridionale” addirittura rafforzi la tua critica al perbenismo. Hai continuato il discorso?
«Diciamo che la questione di Maria Teresa è stata travisata, perché comunque si deve leggere sempre un simbolismo dietro le rappresentazioni cinematografiche. Se permetti questa affermazione: nel “mio cinema” (anche se ho fatto due film in croce) il tono che cerco è comunque un tono poetico. Questo vuol dire che non sono film realistici anche se hanno una forma realistica. Se dovessi definire quello che faccio, userei un neologismo, il “verosimilismo”: qualcosa che abbia uno slancio poetico e una forma realistica. Il discorso di Maria Teresa era portare la donna in cima alla piramide, era un omaggio alle donne e non il contrario. In questo film è ancora di più un omaggio alle donne. Tratto il tema dell’omosessualità ed uso due donne proprio per dare una versione poetica. Ho ancora una spinta verso uno schematismo morale che chiaramente rifuggo».
Nonostante questo ultimo film è girato praticamente in un luogo fisso sembra si muova molto di più di “Basilicata coast to coast”. E’ così?
«La drammaturgia fa questo lavoro. Il mio primo film era più facile da mettere in scena da un punto di vista drammaturgico, perché tutti si muovono e non c’era bisogno di un approfondimento, era il viaggio che lo sosteneva. In questo caso il viaggio deve essere ancora di più esistenziale, ancora di più strutturato da un punto di vista dell’introspezione e quindi bisognava far muover più le anime che i corpi».
Dal primo film sono passati tre anni e mezzo. Da dove è nata questa nuova e profonda ispirazione che hai detto sempre di voler trovare per realizzare un nuovo film?
«Ho dovuto aspettare veramente una storia che mi convinceva ed è arrivata, nei termini, ancora più forte che in Basilicata coast to coast. In quest’ultimo c’era un riflesso più personale, c’era dentro una autobiografia. Questa volta invece la voglia era di raccontare un’escalation diversa, sollevando temi e questioni più oggettive. Mi sono arrivate queste suggestioni e mi sono messo a fare un secondo film».
Tra i tanti temi, dai una concezione diversa della coppia. E’ una presa di posizione sul fallimento della coppia tradizionale, quella per tutta la vita?«E’ un po’ una picconata al muro dell’ipocrisia. Non nega la longevità di una relazione, attacca l’ipocrisia che la sostiene quando ormai i sentimenti sono mutati. Nel momento in cui non c’è più quella solidità sentimentale in una coppia ma perché non provare a costruirsene un’altra. A volte si rimane insieme solo perché non si vuole affrontare lo scandalo della separazione».
Il tuo personaggio è un prete spretato. Racconti certamente di una spiritualità laica ma attacchi anche il sistema chiesa?
«E’ dare una legittimità alla ricerca della spiritualità aldilà dello schematismo religioso. Più della chiesa, della religione in genere che costringe inevitabilmente ad uno schematismo anche necessario per l’istituzione chiesa. La rispetto e la comprendo questa spiritualità ma voglio dire che ne esiste anche una fuori. Il mio personaggio che esce fuori dall’istituzione ecclesiastica non è che non crede più in Dio, anzi è una persona che ritrova la sua spiritualità».
Ad un certo punto del film, c’è il funerale del padre di Riccardo Scamarcio, in cui praticamente tutti i segreti vengono a galla, sembra un epilogo ma è a metà del film. Perché questa scelta?
«Di fatti è il momento in cui si tirano le somme, tutti vengono a sapere tutto di tutti. Parte da qui una nuova fase, in cui si forma questa comunità nel faro. Non c’è più nessun segreto tra di loro, l’opinione pubblica sa tutto. La seconda fase della storia quella in cui queste persone che sono più o meno in contrapposizione o quanto meno c’è una contrapposizione tra mamma e figli, danno vita alla storia della loro ristrutturazione».
Il pezzo di Erica Mou “Dove cadono i fulmini” è arrivato dopo la realizzazione del film. Come è nata questa collaborazione?
«Ho sentito un’esigenza, mi aveva messo una pulce nell’orecchio uno degli attori. Ho sentito il pezzo di Erica ed ho capito che doveva entrare nel film, non come commento ma proprio come una narrazione. Proprio in quel momento lì dove si fa il punto della quotidianità dei personaggi approdati a questa nuova comunità. Le ho chiesto una versione acustica in modo che le parole fossero ancora più esplosive. Abbiamo creato una sequenza appositamente, un minuto e 50 di immagini. E’ straordinaria Erica, una ragazzetta neanche di 23 anni di un’acutezza e di una musicalità straordinaria».
Interessante anche il cast di attori. Ma perché hai consegnato a Scamarcio e alla bellissima Sarah Felberbaum due personaggi diversi da quelli che di solito interpretano?
«Proprio perché credevo in questi attori. Noi attori cerchiamo sempre qualcosa che si allontani da quello che abbiamo già fatto e quindi Riccardo si è sentito particolarmente stimolato. Anche Sarah che è sempre una sorta di Grace Kelly nei film che ha fatto, qui è una badante anche un po’ mascolina, vestita larga, sempre bellissima è, però è in un’accezione totalmente diversa dal solito».
Per chi non avesse capito tutte le sfaccettature del film, hai realizzato anche un libro. Segna un futuro da scrittore?
«Anche in “Basilicata coast to coast”, avevamo scritto un racconto inserito poi nel dvd. Scriviamo sempre un po’ con un gusto letterario proprio per mettere le parole una dietro l’altra. Quindi c’era già una specie di romanzo, poi l’ha letto un editor della Mondadori, perché era amico di Walter Lupo il mio alterego. A lui è piaciuto. E’ una cosa mascherata da operazione commerciale, detta operazione “maiale” che non si butta via niente, ma in realtà è certamente la voglia di approfondire i temi del film».
Rocco, come al solito ormai, la fine del film è semi –lieta…
«Come un po’ in Basilicata coast to coast, le cose si risolvono tra i personaggi ma per l’esterno lascia una sorta di : “ poi si vedrà”».