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SANT’ANGELO LE FRATTE – E’ stata un insieme di rime sparse come un tappeto di foglie colorate d’autunno; come se per dare almeno la parvenza di ciò che è stato non bastassero tutte le parole del mondo. Silvia Mezzanotte con i Mattia Bazar per i festeggiamenti di San Michele nell’anfiteatro comunale di Sant’Angelo Le fratte pieno all’inverosimile, è quella parola così meravigliosa che in lei si nasconde la lingua per la paura di sporcarsi nelle volgarità del mondo, quella parola a cui ci si affeziona subito talmente tanto che la bocca resta ben serrata per non disperderla inutilmente nell’aria. Le cose belle si dimostrano evanescenti nel piattume gelido della realtà eppure lasciano la loro traccia solcando il terreno, disperdendo profumo di libertà, come se fosse impossibile non seguirle. Silvia Mezzanotte è bellissima, corpo esile coperto dal nero del primo vestito con cui si mostra al pubblico (ha anche un giubbino azzurro che però toglie quasi subito).
Sale per ultima sul palco dopo che Piero Cassano, Giancarlo Golzi e Fabio Perversi si sistemano sul fondo in posizione elevata rispetto al palcoscenico ed unito ad esso da scalini luminosi. Al centro un microfono, tutto per lei: la bella Silvia è il perno dello spettacolo che per quasi due ore ha entusiasmato il numeroso pubblico; sarebbe durato di più se la pioggia non avesse suggellato con il suo umido saluto la fine anticipata del concerto. “Tu dove sei” e “Souvenir” eccitano da subito la splendida voce di Silvia che composta e tecnica si dimostra, nel vagare tra le tonalità più basse a quelle più alte, ma anche devastante e sensuale quando le parole diventano carne tra gli archi dorati dell’anima e del suo corpo. E’ come prendere tra le mani un carbone ardente ed avere l’insensata voglia di stringerlo forte per non dimenticare quel calore mai esausto: Silvia in quei momenti è l’unica cosa che conta, l’unica cosa per cui vale la pena dedicarsi, immolarsi trafiggendosi il ventre con la luce della sua arte.
E poco importa una nauseante autocelebrazione che come una malattia contagia gli altri membri della band che nei loro racconti parlano della propria storia come fa un politico che non ha nulla da dire. Poco importa anche un sound troppo superficiale per la mancanza dei suoni profondi del basso ed un uso spropositato del sintetizzatore. La voce di Silvia basta ed avanza per far volare il concerto e mentre all’orizzonte il cielo si squarcia con i fulmini e l’aria diventa man mano più fredda, mentre qualche anziano arrossato dal vino della festa, dall’alto della sua esperienza preannuncia il temporale, i sensi sono tutti per lei, anche se d’improvviso fosse caduto giù tutto il cielo, con tutte le stelle invisibili di una sera nuvolosa, nulla avrebbe scalfito il legame che Silvia crea subito con il pubblico. Canta “Questa nostra grande storia d’amore”, “ Per un’ora d’amore” e poi i pezzi meglio eseguiti del concerto gli sperimentali “Elettrochoc” e “Aristocratica”.
“Brivido caldo” apre la strada a “Ti sento”, in cui il canto di Silvia fa tremare il terreno, arriva potente e tumultuoso a paradisiache atmosfere e porta al delirio totale il pubblico che a fine esecuzione si alza in piedi per una standing ovation di metà concerto. Non è nulla che si possa descrivere con le parole, tutto è impregnato di Silvia, il canto ha scosso la pacatezza addormentata delle stanze polverose del proprio animo e quella delle pietre incastrate l’una nell’altra delle vie santagiolesi, tanto che nemmeno la pioggia che cade copiosa su l’ultimo pezzo “Stasera che sera” riesce a portarla via, nemmeno il ticchettio frenetico delle gocce sulla pelle bagnata o sul parabrezza dell’auto quando si torna a casa, coprono il battito in fiore per lei.
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