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LA MORTE di Alberto Bevilacqua ha gettato nel più totale sconforto un altro Bevilacqua, Sergio. Editore e sociologo clinico, originario delle lande parmigiane-reggiane, costui, manco a dirlo è innamorato della Lucania. Lo raggiungiamo telefonicamente, per farci trasmettere qualche emozione relativa alla scomparsa del celebre consanguineo: «Alberto era stato allievo di Achille Bertolucci che era amicissimo di mio padre Antonio. Così, eravamo Attilio, mio padre, Alberto e me piccolo piccolo. Passeggiavamo per Parma e ogni tanto si univa a noi anche quel geniaccio di Silvio D’Arzo. Mio padre era 10 anni più piccolo di Alberto. I due si frequentavano assiduamente e io possedevo un carteggio poetico eccezionale tra mio padre, Attilio Bertolucci e Alberto Bevilacqua. Poi quel bastardo di mio fratello l’ha fatto sparire…».

E’ un fiume in piena, Sergio Bevilacqua, quando riesuma certi racconti e certi momenti topici della sua esistenza al fianco di un omonimo troppo ingombrante. Sergio, 55enne che ne dimostra dieci di meno, non se ne cruccia, e va per la sua strada di editore di nicchia, con un progetto tanto ambizioso quanto ineccepibile: salvare la lingua italiana.

Così è approdato in Lucania: «La Basilicata è una terra molto originale; è una terra che se la vita e l’energia dell’umanità si basano su degli elementi, questa terra quegli elementi ce li ha tutti…» riferisce. Poi sviscera altri ricordi su Alberto. «Quando sono diventato più grande lo reincontravo spesso, in una delle riedizioni della dolce vita romana; con quell’aria mista tra uomo di mondo e uomo di bordello chiuso, Alberto circolava nelle notti capitoline con un fare un po’ sentimentale, un po’ ironico. Pensi che una volta voleva farsi la mia amante dell’epoca, che sfacciato! Ma Alberto era così: spassionato nelle relazioni umane e interessato in modo quasi morboso all’attenzione delle donne, lui corteggiatore incallito, sprigionava questo suo senso dell’erotismo che non era mai nulla di sporco. Anche se avrebbe tutte le componenti organiche per esserlo». Bevilacqua (Sergio) potrebbe parlare per ore. «Ricordo sempre e continuamente Alberto come una persona fatta a persona, con tutti i suoi aspetti di stringente umanità: introspezione, ironia per nascondere i difetti, scrittura precisa e pulita. L’aspetto drammaturgico è curato con una spontaneità che nemmeno Moravia è riuscito a esprimere pur nella sua industrialità…».

Sergio se ne intende, di letteratura. Per le edizioni IBUC ha appena selezionato una rosa di scrittori lucani emergenti, per impegnarli nel più gravoso dei compiti: quello di tramutarsi in fabbrica della lingua, onde tenere vivo l’illustre idioma italico.

Ma, insomma – gli domandiamo alla fine – quale grado di parentela la lega al defunto Alberto? Ecco la risposta: «Avevamo un ceppo comune antico, con Alberto, con il quale condividiamo la stessa ricchezza umana e letteraria che noi tutti i Bevilacqua abbiamo. L’origine del nostro cognome la spiegai io ad Alberto, anni fa, e lui ha sorriso molto intimamente, senza mostrarsi indignato per il fatto che un giovincello come me gli dicesse cose come un saputello…».

Allora Sergio ci svela che Bevilacqua è un nome di mestiere, che deriva da uno dei mestieri più antichi, cioè quelli che portavano a valle dalle montagne la legna per costruire Venezia usando vie fluviali, dal Po, dall’Adige eccetera.

«I Bevilacqua spingevano i tronchi lungo i torrenti finché questi arrivavano alle chiuse – racconta Sergio – e per far ciò scendevano dentro il fiume e si bagnavano, per questo il cognome è ironico, è uno sfottò. […] Questa storia l’ha intrigato tantissimo, ad Alberto e lui l’ha ascoltata umilmente e simpaticamente. Del resto la sua ironia gli derivava dal nostro cognome…»

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