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di FRANCESCO ALTAVISTA
RIONERO IN VULTURE –   Sarà Nicola Piovani  in “concerto in quintetto” questa sera a partire dalle 21 nell’atrio del Palazzo Fortunato (ingresso 20 euro)  a chiudere  la quindicesima edizione del festival “Vulcanica” a Rionero in Vulture. La manifestazione rionerese non solo  per tre giorni ha dispensato poesia, suoni e parole ma regala questa sera  al pubblico lucano e non solo  un concerto indimenticabile del premio Oscar Nicola Piovani.  Il maestro in anteprima grazie all’interessamento e all’efficienza sempre fuori dal comune  dell’ufficio stampa del festival “Vulcanica” gestito da Elena Schifino, si concede ad un intervista  per “il Quotidiano della Basilicata”.
Maestro, lei ha composto musica per più di 150 film ed ha lavorato e lavora moltissimo con il teatro. Perché ha voluto impostare la sua carriera musicale affiancando la musica ad altre arti?
«La maggior parte della musica del passato che ascolto con passione, mi rendo conto che è stata scritta su commissione, o per una funzione religiosa, o per raccontare una storia nel teatro d’Opera, o per celebrare una incoronazione regale o un pranzo di corte. E’ privilegio di pochissima musica essere “pura”. E poi a me  piace  andare dietro la metrica di un poeta per fare canzoni o scrivere versi io stesso per una  musica».
Il teatro musicale,  ha dichiarato più volte, è la sua vera grande vocazione.  Perché il teatro è il linguaggio del futuro? 
«I mezzi di riproduzione musicale e video, moltiplicandosi in modo esponenziale, tendono a far diventare sempre più inflazionato il suono riprodotto, a fargli perdere valore. E a far diventare sempre più preziosa l’espressione dal vivo, l’unicum in carne ed ossa, teatrale. Vale per la musica, ma vale per la prosa, la danza, la poesia. Di fronte a un’arte che si esprime in un teatro e che innesca un contatto vero fra artista e pubblico, non c’è DVD che tenga».
Cosa significa per un musicista straordinario come lei vincere l’oscar?
«È un regalo della fortuna, una sorpresa, una festa da condividere con gli amici, è un fatto che accresce la tua credibilità esterna. Basta non montarsi la testa, che sennò sono dolori».
Nel 2011 lei ha composto “Viaggi di Ulisse”, unendo musica e grande poesia alle intuizioni di Omero.   Un musicista eclettico  come lei, dopo i suoi viaggi artistici in queste arti diverse ma complementari,  riesce a tornare alla sua Itaca o preferisce lanciarsi oltre le colonne d’Ercole come l’Ulisse dantesco? 
«E’ la scelta di ogni giorno. Il finale a Itaca con Penelope, il figlio, il caminetto  è un classico lieto fine. Ma, come si sa, dopo il lieto fine non i può continuare a raccontare, sarebbe noioso: dopo c’è solo la parola fine, cioè la morte del racconto. Finché si è vivi è meglio provare a navigare ancora, facendo certo i conti con la prudenza e con il proprio coraggio o la propria codardia».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La bellezza è ciò che dà gioia e armonia, ma sorprendendoci, cioè senza banalità. Ci sono musiche belle, ma che non mi sorprendono, perché somigliano a qualcosa che conosco già. E quella è bellezza ordinaria. I classici, invece, mi sorprendono ogni volta».

RIONERO IN VULTURE –   Sarà Nicola Piovani  in “concerto in quintetto” questa sera a partire dalle 21 nell’atrio del Palazzo Fortunato (ingresso 20 euro)  a chiudere  la quindicesima edizione del festival “Vulcanica” a Rionero in Vulture. 

La manifestazione rionerese non solo  per tre giorni ha dispensato poesia, suoni e parole ma regala questa sera  al pubblico lucano e non solo  un concerto indimenticabile del premio Oscar Nicola Piovani.  Il maestro in anteprima grazie all’interessamento e all’efficienza sempre fuori dal comune  dell’ufficio stampa del festival “Vulcanica” gestito da Elena Schifino, si concede ad un intervista  per “il Quotidiano della Basilicata”.

Maestro, lei ha composto musica per più di 150 film ed ha lavorato e lavora moltissimo con il teatro. Perché ha voluto impostare la sua carriera musicale affiancando la musica ad altre arti?

«La maggior parte della musica del passato che ascolto con passione, mi rendo conto che è stata scritta su commissione, o per una funzione religiosa, o per raccontare una storia nel teatro d’Opera, o per celebrare una incoronazione regale o un pranzo di corte. E’ privilegio di pochissima musica essere “pura”. E poi a me  piace  andare dietro la metrica di un poeta per fare canzoni o scrivere versi io stesso per una  musica».

Il teatro musicale,  ha dichiarato più volte, è la sua vera grande vocazione.  Perché il teatro è il linguaggio del futuro? 

«I mezzi di riproduzione musicale e video, moltiplicandosi in modo esponenziale, tendono a far diventare sempre più inflazionato il suono riprodotto, a fargli perdere valore. E a far diventare sempre più preziosa l’espressione dal vivo, l’unicum in carne ed ossa, teatrale. Vale per la musica, ma vale per la prosa, la danza, la poesia. Di fronte a un’arte che si esprime in un teatro e che innesca un contatto vero fra artista e pubblico, non c’è DVD che tenga».

Cosa significa per un musicista straordinario come lei vincere l’oscar?

«È un regalo della fortuna, una sorpresa, una festa da condividere con gli amici, è un fatto che accresce la tua credibilità esterna. Basta non montarsi la testa, che sennò sono dolori».

Nel 2011 lei ha composto “Viaggi di Ulisse”, unendo musica e grande poesia alle intuizioni di Omero.   Un musicista eclettico  come lei, dopo i suoi viaggi artistici in queste arti diverse ma complementari,  riesce a tornare alla sua Itaca o preferisce lanciarsi oltre le colonne d’Ercole come l’Ulisse dantesco? 

«E’ la scelta di ogni giorno. Il finale a Itaca con Penelope, il figlio, il caminetto  è un classico lieto fine. Ma, come si sa, dopo il lieto fine non i può continuare a raccontare, sarebbe noioso: dopo c’è solo la parola fine, cioè la morte del racconto. Finché si è vivi è meglio provare a navigare ancora, facendo certo i conti con la prudenza e con il proprio coraggio o la propria codardia».

Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?

«La bellezza è ciò che dà gioia e armonia, ma sorprendendoci, cioè senza banalità. Ci sono musiche belle, ma che non mi sorprendono, perché somigliano a qualcosa che conosco già. E quella è bellezza ordinaria. I classici, invece, mi sorprendono ogni volta».

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