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La genetista lucana Enza Colonna

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POTENZA – «Credo che nessuno ci abbia pensato fino a ora. E la mia prima domanda è: perché nessuno ci ha pensato? Non conosco altre iniziative del genere nel mondo. E forse è importante che questo nasca nel nostro Paese»: lo stupore, nell’aula della commissione Igiene e sanità del Senato, fa contrasto con la solennità dell’istituzione. Ad avere appena posto la domanda, al microfono, la mascherina sul viso a nasconderle solo parzialmente un sorriso di ammirazione per l’idea appena ascoltata, è la senatrice a vita Elena Cattaneo, biologa di fama internazionale, docente universitaria. Insomma, una persona che, se pone una domanda del genere, fa capire immediatamente il valore e il peso specifico dell’idea di cui sta parlando.
E l’idea è il progetto di Enza Colonna, la genetista lucana che vorrebbe fare della Basilicata un immenso laboratorio di studio genetico sul Sars-Cov2, il virus che sta sconvolgendo il pianeta (LEGGI GLI ARTICOLI).

«La professoressa Cattaneo ha notato come questo progetto guardi decisamente al futuro, dopo la prima fase acuta di emergenza sanitaria, e come a sua conoscenza non siano attualmente attivi progetti di tracciamento simili nel mondo; a margine dell’audizione, ha condiviso con me l’idea che l’operazione possa essere lanciata su scala per lo meno nazionale», ricorda al Quotidiano del Sud, il giorno dopo, la dottoressa Colonna.
Nel pomeriggio di martedì 5 maggio scorso Colonna, insieme ad altri esperti di vari settori, è intervenuta in un ciclo di audizioni dinanzi alla 12^ commissione permanente del Senato per discutere di “profili sanitari della cosiddetta Fase 2 (strategie anti e post Covid-19)”.
In diretta streaming il presidente della commissione, Stefano Collina, anche lui con la mascherina d’ordinanza sul volto mentre presiede la seduta dagli scranni dell’organo parlamentare, le ha dato la parola.
E lì la ricercatrice del Cnr ha spiegato ai componenti l’importanza dello studio del genoma del virus per poterne tracciare le varianti e fare ricerca applicata in questo campo e quindi ha spiegato il suo progetto: una “biobanca” di Dna virale e genomico umano di pazienti Covid-19, per consentire il suo sequenziamento e depositarne i risultati in un database pubblico, da mettere a disposizione della comunità scientifica internazionale.
Non è stata solo la Cattaneo a interessarsi del progetto durante la diretta: la senatrice Maria Domenica Castellone (M5S), ricercatrice all’Istituto di endocrinologia e oncologia sperimentale del Cnr di Napoli, vincitrice di numerosi premi scientifici, ha chiesto se la differenza di genoma possa essere responsabile di differenti sintomalotogie («Si, lo è») e quali siano i passaggi fondamentali nella strategia di tracciamento; la vicepresidente della commissione, Maria Cristina Cantù (Lega), ha domandato se dai primi studi della Colonna possano già emergere indicazioni per le precauzioni da seguire nelle zone maggiormente colpite dal contagio.

«Il progetto pilota ipotizzato dal mio gruppo, per il quale ho già preso contatti con alcune strutture sanitarie e amministrazioni regionali (particolarmente la Regione Basilicata) – rammenta ora la ricercatrice di Lavello – ha destato l’interesse di vari senatori, intervenuti con commenti e domande dopo il mio intervento».
La dottoressa Cattaneo scende maggiormente nel particolare: «La prima fase del progetto prevede la costituzione di un gruppo di lavoro scientifico per il sequenziamento e l’analisi genetica, previo consenso informato, dei tamponi di circa 50 pazienti positivi al Covid-19, raccolti dalle strutture sanitarie presenti in Basilicata. Per un costo di meno di 10.000 euro, consentirebbe di ottenere risultati in circa due mesi. Questi risultati saranno utili sia alla comunità scientifica per il progresso della ricerca sul coronavirus, sia ai decisori politici per la gestione dell’emergenza e per un più accurato monitoraggio dell’andamento del contagio sul territorio».

A partire da questo primo step si potrebbe poi allargare la ricerca: «Se ampliato su scala nazionale – prosegue la genetista – si potrebbe ipotizzare che dopo questa prima fase la mappatura potrebbe essere estesa a 5.000 contagiati, con risultati che potrebbero arrivare nel giro di un anno, anche se, dopo che l’ingranaggio si è messo in moto, queste tempistiche potrebbero essere ulteriormente abbreviate: dalla raccolta del campione al sequenziamento potrebbero volerci anche solo 10 giorni».
Questo colmerebbe una lacuna tutta tricolore: «L’Italia, uno dei Paesi colpiti più duramente dal coronavirus – chiarisce – ma è anche uno dei Paesi che ha il minor numero di sequenze mappate e studiate di Sars-Cov2: a oggi solo 69, di cui solo 7 sono pubblicamente accessibili. Su una base di circa 100.000 contagiati, ognuno dei quali infettato da milioni di virus, ognuno diverso dall’altro, ci rendiamo conto di quante possano essere potenzialmente le sequenze rispetto alle pochissime che già conosciamo. Sarebbe come voler fare una ricerca su 7 miliardi di umani avendo a disposizione soltanto i dati di una o due persone: sicuramente i risultati non sarebbero attendibili».

«E’ importante studiare le mutazioni nel genoma del coronavirus – prosegue – perché non tutte le sequenze sono uguali e, se non se ne tiene conto, questo può ridurre l’efficacia e l’accuratezza dei test. L’insieme delle varianti costituisce l’impronta genetica di un particolare virus, e studiarle, comprendendone la mappatura nel tempo e nello spazio, permette di fare ricerca applicata, migliorando la diagnosi e comprendendo qual è la base genetica delle diverse suscettibilità e reazioni alla malattia».
Come fare a collegare un meccanismo del genere al Sistema sanitario nazionale? «Questo progetto – risponde Colonna – potrebbe essere integrato nel sistema sanitario e della ricerca nazionale tramite l’istituzione in Italia di una biobanca in cui costituire un database di sequenze dei genomi conservando in sicurezza il Dna virale. Consentirebbe di ottenere informazioni preziose a basso costo, che potranno essere conservate e analizzate anche fra qualche anno, per studiare e imparare dalla pandemia coronavirus, e prevenire altre pandemie future».

E’ importante sottolinearlo: non si tratta di semplice speculazione scientifica, di accademia fine a sé stessa. La genetista spiega ancora una volta a cosa potrebbe servire il progetto: «Il feedback che si può ricavare dall’analisi di questi dati potrebbe essere di uso immediato per le istituzioni e gli organismi decisionali perché permetterebbe una gestione informata della pandemia: sarebbe possibile monitorare se le mutazioni del virus lo rendono più o meno aggressivo, controllare come si sviluppano i focolai di infezione su scala mondiale ma anche regionale e locale, valutare se le modalità di contenimento sono state efficaci e se ci sono nuovi flussi in entrata dall’estero».

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