Carlo Buccirosso in scena insieme a Veronica Mazza
6 minuti per la letturaA Potenza arriva “Il divorzio dei compromessi sposi”, dai lui scritto, diretto e interpretato
POTENZA – Non è un’esagerazione dire che il maestro Carlo Buccirosso è già parte della storia del teatro. Il concetto di teatro e di teatralità è qualcosa di incommensurabile e allo stesso modo lo è il talento del maestro Buccirosso. È lui stesso il teatro, è lui stesso teatralità, non si può non voler bene a Carlo Buccirosso che è a pieno titolo nell’olimpo dei grandi maestri della commedia e del teatro italiano. È proprio lui, il maestro a concedersi a un’intervista per il “Quotidiano del sud”, in anteprima rispetto alla sua doppia data potentina che lo vedrà in scena con la sua compagnia (tra gli altri: la meravigliosa Claudia Federica Petrella, Gino Monteleone, Veronica Mazza e Peppe Miale) nello spettacolo “Il divorzio dei compromessi sposi” per il consorzio “Teatri Uniti di Basilicata” domani sera dalle 21 al don Bosco di Potenza e in replica domenica alle 18.
Maestro, lei in questi anni ha costruito un bel rapporto con la Basilicata, l’anno scorso in occasione del suo spettacolo a Potenza, ha voluto pernottare a Castelmezzano, dove qualche mese prima aveva girato un film. Possiamo dire che è stato come adottato da questa terra?
«Sì, sicuramente. I lucani sono un popolo molto sincero, molto limpido, cortese e solare. Diciamo anche molto teatrale, ama la propria terra e la cordialità; è l’ideale per un attore sia per il soggiorno notturno, sia per quello artistico. Si sta proprio bene».
“Il divorzio dei Compromessi sposi” è una riscrittura di un suo lavoro precedente che andò più che bene. Cosa ha cambiato rispetto alla sua commedia originale?
«E’ uno spettacolo a cui sono legatissimo, perché è stato il primo a un certo livello della mia scuola di recitazione dei giovani. Oggi è uno spettacolo molto più maturo, come lo sono io sia nella scrittura, sia nell’affrontarlo come interprete. C’è sempre qualcosa da dire in più e da fare meglio. Sono diversi poi gli interpreti e sono cambiate alcune scenografie: in questa versione c’è una completezza anche dell’esterno delle mura, del bosco e di tutto il resto: era una lacuna che ho colmato. Ci sono scene più complete dal punto di vista della drammaturgia, ce n’è qualcuna in più e soprattutto ci sono sei canzoni in più che sono anche la forza dello spettacolo. Sono canzoni che spiegano meglio la storia, fingendo che ci sia qualcuno che non conosca “I promessi sposi”. C’è molta più umanità , perfino Don Rodrigo è più umano, la sua morte causa il divorzio tra Renzo e Lucia e la distruzione psicologia di Agnese. E’ un uomo che ha provato a fare del male, non ci è riuscito e alla fine il male lo ha fatto a se stesso: muore nello sconforto di tutti, forse anche del pubblico. Diventa una vittima. Più che uno spettacolo fortunato, è uno spettacolo riuscito perché è l’ideale conciliazione tra divertimento, musica , ballo, recitazione e sentimenti veri».
Ha costruito negli anni un bel gruppo. Le piace lavorare con i giovani attori ed essere quindi anche un educatore – pedagogo di teatro?
«Mi piace molto lavorare con i giovani e anche con quelli più esperti che però si pongono nei miei confronti in modo umile ed onesto. Non mi piace quando alcuni attori portano con sé il piglio di saperne di più. Il mio modo di far regia è didattica con tutti, non faccio una regia statica ed egoistica, va fino in fondo allo stomaco. Se c’è da insegnare qualcosa la insegno anche a un attore di 80 anni. Io non ho studiato, quindi se ho talento ce l’ho da sempre e ho capito come va fatto questo mestiere».
Il talento non si può spiegare ma qual è il metodo di insegnamento di Carlo Buccirosso?
«E’ un misto di naturalezza se c’è e se non c’è di tecnica. I ragazzi però hanno capito che la naturalezza è alla base di tutto: la misura, la mancanza di eccessi, la mancanza dello strafare. E poi c’è il trasmettere emozioni, il colore della battuta. Il metodo è un misto di tanti insegnamenti, attraverso i quali curo ogni particolare del personaggio, dalla postura, al suono, al volume, all’armonia di una battuta, alla velocità, alla cadenza, alla chiarezza di quando si dicono le cose. Non è tanto un metodo, ma una meticolosità in quello che faccio. Il metodo forse c’è nella ricerca di un rapporto con gli attori. Un rapporto di stima e amore. Se non c’è non si può stare in compagnia con me».
Lei è uno dei pochi drammaturghi e registi che crea spettacoli molto lunghi e quasi sembra dal palcoscenico che gli attori dominino il pubblico, quasi educandolo anche nella semplicità del tempo di un applauso. Dove nasce questa forza?
«Tutto nasce dal fastidio che provo quando vedo attori che vogliono a tutti i costi l’applauso del pubblico e con metodi vergognosi di quarta categoria lo strappano quando non c’è niente da applaudire. E’ come se uno strappasse la carezza a una donna che si ama, ma se non è naturale che senso ha? Da questo profondo fastidio da spettatore, mi è nata la voglia di non cedere e di dominare. Dico sempre ai miei attori che siamo noi a decidere la durata di uno spettacolo, non il pubblico».
Ma altri potrebbero mettere in scena le sue commedie?
«Si potrebbe pensare a una grande compagnia che possa fare i miei spettacoli. La fortuna di questi lavori però è che il regista e l’autore sono in scena. Se io faccio la regia a uno spettacolo e poi vado via, lo spettacolo si perde. Questo succede a tutti gli spettacoli e i miei in particolare. La fortuna della mia compagnia è che l’interprete, il regista e l’autore sono la stessa persona, il bambino cresce quindi continuamente. Io provo quasi ogni giorno, i miei attori o vanno in manicomio o restano con me. Qualcuno è andato in manicomio. Non è perché voglio strafare, ma mi piace molto. E’ come quel gioco nel quale si dice una frase nell’orecchio di un altro e lui ad un altro e così via, alla fine quando arriva l’ultimo è tutta un’altra frase. Il linguaggio e lo stile devono restare intatti. Gli attori tendono a fare altro in scena, con me non è proprio così. Questo vale anche per me: anche io non posso fare quello che voglio in scena».
Lei come attore è cresciuto molto nell’immaginario del pubblico, interpretando sia al cinema che in teatro personaggi diversi, specie rispetto a quelli dell’inizio della sua carriera. Il Buccirosso attore ci sorprenderà ancora?
«Sicuramente, se vivrò a lungo. Questo cambiamento è dovuto al fatto che scrivo io. I produttori e i registi italiani seguono il cliché del personaggio che ha funzionato in passato. Se lo scrivo io cambio, so e sento di poter fare anche altre cose e personaggi diversi. Credo che un attore deve saper fare tutto in scena. Anche se il fatto di saper fare tante cose, non vuol dire guadagnare di più».
Maestro, cosa può anticipare della nuova opera che lei ha sicuramente nel cassetto, pronta alla tournée l’anno prossimo?
«Ho scritto un nuovo spettacolo, si chiamerà “Il pomo della discordia”. Un lavoro sull’omosessualità, un tema importante perché dovrò pure allontanarmi da tutte le sciocchezze che si scrivono oggi per il teatro italiano».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza per me è tutto ciò che far star bene, tutto ciò che riempie di benessere, anche solo attraverso gli occhi o attraverso il tatto, attraverso un suono, un odore o un gusto».
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