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Alain Delon, morto ieri a 88 anni

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ESISTE un Alain Delon lucano, proveniente da una Basilicata remota e lontana nel tempo: è quello di “Rocco e i suoi fratelli” in cui l’attore francese deceduto ieri rese al meglio l’introversa malinconia del giovane protagonista della Basilicata, Rocco Parondi, un figlio del meridione immigrato a Milano con la famiglia. Un Alain Delon “lucano” anche perché chiamato ad interpretare una storia in parte ispirata a quella del pugile potentino Rocco Mazzola (scomparso a Potenza nel 2012 ad 80 anni), emigrato in Lombardia.

Potenza il 16 dicembre 2018 ha dedicato al suo pugile un centro sportivo polifunzionale: anche Alain Delon, in una perfetta simmetria, nel film si trasferisce dalla Basilicata con la famiglia a Milano in cerca di fortuna e di riscatto, ed anche lui finirà su un ring (con minor fortuna rispetto a Mazzola, per la verità). Fu il regista Luchino Visconti a consentire al 25enne Alain Delon, all’epoca agli inizi della carriera, di lasciar affiorare una complessità interpretativa che lo impose all’attenzione della critica proprio quando lo diresse magistralmente nel film “Rocco e i suoi fratelli” (1960), opera in cui lo spirito neorealista si fonde con le cadenze del melodramma. Delon rese perfettamente i tratti della sofferta inquietudine di chi emigrava da una terra amata: in questo caso quella del lucano Rocco Parondi, proletario dall’animo “viscontianamente” nobile ma destinato, probabilmente per la sua eccessiva mitezza, a risultare un perdente nell’alternarsi di vicende che costituiscono l’architettura del film.

Alain Delon in qualche modo è però, più in generale, anche un figlio del sud: infatti sempre con Luchino Visconti, tre anni dopo “Rocco e i suoi fratelli” diede corpo al ruolo di Tancredi Falconeri ne “Il Gattopardo”, dove riuscì a far respirare allo spettatore l’anima di una Sicilia che viveva un’epoca di grandi cambiamenti. Dramma popolare in bianco e nero, con i toni della tragedia greca, interpretato da Delon e da una Claudia Cardinale che si imponeva all’attenzione nazionale,

“Rocco e i suoi fratelli” fu invece ispirato al romanzo “Il ponte della Ghisolfa” di Giovanni Testori. Una povera vedova, Rosaria, lascia in treno, con i suoi quattro figli, il paese della Basilicata in cui è nata, per trasferirsi a Milano, dove vive il figlio maggiore, Vincenzo. La Basilicata, in questa vicenda, è uno sfondo continuo e vive nel riflesso opaco di Milano, che non sarà mai definitivamente “casa”. Vincenzo non può fare molto per la famiglia, se non introdurre i fratelli nel mondo del pugilato. Simone (Renato Salvatori), il più ambizioso, si dedica con fervore alla nuova professione, ma finisce per frequentare ambienti poco raccomandabili. Rocco (Alain Delon) trova lavoro in una lavanderia, Vincenzo ottiene un impiego saltuario, Ciro diventa un operaio specializzato, e Luca si industria per guadagnare anche lui qualche soldo. La Basilicata è lontana, ma le grandi opportunità promesse dal nord non si vedono. Simone ha una relazione con Nadia, prostituta. Tra lei e Rocco germoglia un sincero affetto tanto che fanno progetti di matrimonio. Ma anche Simone è innamorato di Nadia, e avendola sorpresa col fratello, reagisce con violenza.

Il film di Visconti vinse il Premio Speciale della Giuria alla 21esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia 1960, il Nastro d’argento 1961 come Miglior film, Migliore sceneggiatura e Migliore fotografia, il Globo d’oro per il Miglior film 1961. E il David di Donatello 1961 andò al produttore Goffredo Lombardo.

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