Cristina Borsatti è la co-sceneggiatrice de “La notte più lunga dell’anno”
5 minuti per la letturaPOTENZA – Tutto si svolge nella notte tra il 21 e il 22 di dicembre, il solstizio d’inverno, la notte più lunga dell’anno. Questo è il titolo del film finito di girare a Potenza nei giorni scorsi e che ha visto anche un incontro al teatro Stabile tra la città lucana e una parte del staff del film. A scrivere la sceneggiatura de “La notte più lunga dell’anno”, l’intellettuale e scrittore di origini lucane Andrea Di Consoli, Simone Aleandri anche regista del film e l’affascinante e fascinosa Cristina Borsatti critica cinematografica, giornalista, sceneggiatrice e insegnante nella prestigiosa accademia di Cinema e televisione Griffith. E’ lei, l’unica dei tre co-sceneggiatori nata nel nord Italia, a concedersi a qualche domanda per il Quotidiano del Sud, sul film girato a Potenza e sul cinema del quale lei è un’esperta indiscussa.
Cristina, conosce Potenza e la Basilicata? Come la sceneggiatura si adatta al capoluogo lucano?
«Conoscevo solo Matera, come molti. La zona di Potenza non la conoscevo. L’idea è nata ad Andrea Di Consoli che essendo lucano ha pensato subito a Potenza. Noi abbiamo sposato questa idea perché ci sembrava un posto diverso nel sud ed io l’avevo vista solo attraverso delle fotografie. Già un luogo del sud dove c’è la neve, ti racconta qualcosa di diverso. Io sono di Trieste e la mia immagine del sud è il sole e il mare. Siamo stati a Potenza quasi subito, in fase di sviluppo della sceneggiatura e siamo andati a fare dei sopralluoghi assieme ad Andrea a Simone Aleandri e al produttore; a questo punto ci si è spalancato un mondo. Era davvero il posto ideale. Ci siamo innamorati delle scale mobili di Potenza che secondo me dal punto di vista cinematografico sono strepitose. Abbiamo definito questa città tentacolare e per l’idea del film era perfetta. Ci serviva una città di provincia. Non è un film sul sud. Ma sulla vita di provincia e il fatto che Potenza non sia così caratterizzata per noi era perfetta per rendere il film più universale».
Come si costruisce una sceneggiatura a sei mani, mettendo cioè insieme tre sensibilità diverse come in questo caso?
«Si mettono insieme le competenze. Il lavoro di sceneggiatura nasce sempre attraverso il produttore. Quest’ultimo conosceva Andrea che ha proposto l’idea e poi sono stati scelti gli altri elementi: io in quanto sceneggiatrice e Simone in quanto regista. Abbiamo passato una prima fase in cui abbiamo tirato fuori tutte le idee possibili e immaginabili, avevamo molte più storie di quelle che abbiamo deciso di mantenere. Poi c’è stato il lavoro più tecnico quello di scrittura che è finito di recente. Ci siamo incontrati molte volte prima di iniziare le riprese. I sopralluoghi sono stati fondamentali e hanno portato a molti cambiamenti, come d’altra parte l’ingresso degli attori. Il primo ad accettare il ruolo è stato Alessandro Haber ed è stata un’iniezione di fiducia e poi man mano sono arrivati altri meravigliosi attori ed ogni volta abbiamo calibrato un po’ la sceneggiatura. Possiamo dire che è dal 2018 che ci lavoriamo».
In questa fase chiaramente non si può dire molto, ma cosa può anticipare di questo film, “La notte più lunga dell’anno”?
«Questo è un film corale, è un intrecciarsi di una serie di storie. Come tutti i film di questo tipo ha un sacco di problemi di compattezza narrativa che abbiamo risolto attraverso lo spazio e il tempo. Si svolge tutto in una notte e in poche ore. Queste storie si intrecciano ed hanno un’unità di tema. Sono personaggi viscerali, Tra i tanti temi toccati c’è anche quello della fuga, del resto o vado, una questione che ci riguarda un po’ tutti».
Ci sono certamente delle difficoltà, come diceva, nell’unire diverse storie, cosa che si fa spesso con le serie tv che è un altro tipo di scrittura. Qual è il segreto per mantenere una certa coesione?
«Il problema della molteplicità di storie è che non devono viaggiare da sole, anche se ognuna è solitaria. Bisogna trovare intanto un luogo unico, come le dicevo prima, noi avevamo Potenza. Penso ai film di Robert Altman senza aspirare a tanto, ma lui ha sempre scelto una città, uno spazio nei quali i personaggi potessero anche sfiorarsi e incontrarsi. Noi abbiamo una pompa di benzina dove passano tutti i personaggi. Il segreto poi è avvicinarle dal punto di vista tematico. I film corali hanno però la capacità di rappresentare meglio di altri quella che è la varietà umana, tutte le possibilità che ruotano intorno ad un tema».
Lei è un’insegnante di sceneggiatura e le chiedo come un’idea diventa una sceneggiatura?
«Ci sono molte analogie e molte differenze: il terreno è comune, si raccontano delle storie, ma quando ti devi confrontare con una adattamento scopri quanto è complicato. E’ più difficile adattare che inventare una storia originale. Non è detto che qualcuno che sappia scrivere un romanzo sappia scrivere una sceneggiatura, né viceversa. Per scrivere una sceneggiatura è necessario conoscere il linguaggio cinematografico, ciò che si deve fare e vedere il film e poi ciò che si è visto si porta su carta. Devi esattamente sapere tutti gli altri ruoli del set, perché si deve trovare all’interno della sceneggiatura. Ci vuole quindi tanta competenza cinematografica e poi bisogna essere dei narratori. Una cosa che mi porta via molta parte dell’anno all’accademia dove insegno è parlare di drammaturgia. Servono certamente tre linguaggi: cinematografico, letterario e drammaturgico».
Quando scrive un personaggio e una storia, pensa più a coinvolgere emotivamente per empatia lo spettatore o lascia anche una “porta aperta”, quello che Brecht chiamava effetto di straniamento per poter creare una discussione critica su ciò che sta raccontando e mostrando?
«Io credo che il coinvolgimento sia primario. L’obiettivo è quello di produrre un’emozione forte e continua. Appassionare il pubblico senza momenti di noia. La discussione critica non credo si in contraddizione con l’emozione. Abbiamo molto spesso dei film che hanno dei finali molto sfumati che permettono di lasciare degli spazi di riflessione. Direi entrambe le cose: creare dei personaggi magnifici che possano permettere di identificarsi con loro ma anche lasciare uno spazio al ragionamento».
Concludiamo. Cosa è per lei la Bellezza?
«La Bellezza è passione. Dico ai miei studenti che tra le cose che devono portarsi nel loro bagaglio è il talento. Quest’ultimo è un misto di passione e di spirito di sacrificio. Più grande è la passione più sopporti la fatica. Questa secondo me è una cosa molto bella».
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