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POTENZA – Brexit può significare anche lasciare il Regno Unito – e un contratto a tempo indeterminato – per tornare nella propria terra e realizzare il progetto della vita: è quanto ha fatto Vincenzo Telesca, potentino di 27 anni, che dopo la laurea a Pavia e la specializzazione a Belfast in ecocardiografia, lo scorso 15 dicembre ha lasciato Londra dove nel frattempo era stato assunto in un importante istituto. Una “fuga”, la sua, che ha anticipato di sei mesi quella, dal percorso contrario, che ha visto gli inglesi dire addio via referendum all’Unione europea. Ma la storia di Telesca – che con la sua giovane società di telemedicina, MedEa, opera anche fuori dai confini lucani – ha poche implicazioni politico-economiche essendo soprattutto un caso di “rientro dei cervelli”: un rientro a catena, visto che più di un suo ex collega italiano in United Kingdom lo sta seguendo in questa sua sfida.
LA SFIDA
«Culturale prima di tutto», commenta Vincenzo. «In Basilicata soffriamo forse più di altri un servizio sanitario nazionale vecchio di quarant’anni. La nostra idea non riguarda una medicina nuova ma un nuovo modo di fare medicina. Eppure vedo ancora tanta diffidenza, la nostra mentalità e alquanto rigida e poco aperta all’innovazione. E’ questo tipo di barriere mentali che vogliamo scardinare».
In cosa consiste l’idea in cui lei crede così tanto da aver lasciato un contratto prestigioso in una metropoli planetaria per tornare nella sua città di provincia?
«Il sistema che ho messo in piedi permette alle strutture sanitarie, siano esse pubbliche o private, oltre che al paziente direttamente a domicilio, di accedere ad esami ecocardiografici con l’uso di ecocardiografi di ultima generazione. Facciamo da ponte, H24, grazie a operatori specializzati che si muovono per esami specifici a rotazione su scala regionale anche fuori dal territorio in cui ha sede la nostra Srl: lunedì e martedì in Val d’Agri, mercoledì e giovedì nella zona di Venosa e del Vulture, venerdì e sabato nel Materano».
L’OBIETTIVO/1
Detta così sembra fantascienza, tanto più nella regione scarsamente abitata e con un indice aggregato di spopolamento-invecchiamento tra i più alti d’Italia.
«Ecco, il senso del servizio che stiamo proponendo da meno di un anno è proprio questo: abbattere tempi, costi e disagi di chi magari deve raggiungere una struttura da Bella, giusto per fare un esempio, o da uno dei tanti paesini della Basilicata più profonda. Tramite l’accesso a un numero verde, ogni paziente potrà fruire un sistema di prenotazione rapido e immediato, che permetterà di effettuare un esame ecocardiografico presso una struttura convenzionata, oppure direttamente nella propria abitazione, eliminando le liste di attesa e riducendo i disagi di trasporto. Soprattutto garantendo un risparmio in termini di tempo e di denaro. Se si pensa alla possibilità di farsi monitorare a casa, benché in assenza di ticket, ecco che il risparmio è reale visto che per muoversi verso una struttura pubblica si spende un tot di trasporto e altro. Anche per visite di poche ore, senza pensare ai disagi negli spostamenti e nel farsi accompagnare. Penso ai problemi di deambulazione dei più anziani: chi non ha parenti deve essere in grado di permettersi un accompagnatore o avere un servizio di assistenza pubblica in questa direzione, chi ha un parente deve sperare che questi sia disponibile per il giorno dell’esame altrimenti deve scattare il permesso. Anche queste sono spese indirette… E poi, non dimentichiamo che bisogna prima superare liste d’attesa che vanno in media anche qui dagli 8 ai 13 mesi, è soprattutto qui che la nostra disintermediazione agisce».
I RISULTATI
Avete calcolato l’abbattimento dei tempi nelle prestazioni?
«Benché in una fase di partenza, siamo intorno all’80-90% in meno nelle attese rispetto al pubblico. E ripeto: per la conformazione della Basilicata, il servizio può creare dei benefici in quei centri dove la rete delle farmacie e della medicina di base è debole».
E i costi? Non pensa che, a parte la bassa soglia d’accesso e “propensione” ad alcune strumentazioni da parte delle fasce più anziane, non tutti siano in grado di ricorrere al privato?
«Parto da una cifra: 500 euro. E’ quanto costa al giorno un ricovero all’ospedale San Carlo. In riferimento all’ospedalizzazione la nostra idea permette di far risparmiare al pubblico, anche qui, una cifra pari all’80-90%. Attualmente i nostri prezzi non sono superiori a quelli di un privato, ma dopo una prima fase contiamo di diventare convenzionati».
L’OBIETTIVO/2
Che margini crede di avere nella riuscita e nella crescita del suo progetto?
«Anzitutto, visto che spesso per una start up non basta l’applicativo, ci siamo appoggiati al centro di refertazione Irccs Inrca con sede ad Ancona, specializzato nelle malattie croniche. La speranza è coinvolgere sempre più la Basilicata, con medici del territorio, e magari il Crob di Rionero o l’ospedale di Potenza. Intanto, da settembre saremo in Sicilia, Marche, Emilia Romagna e Lombardia, poi a febbraio nell’alto Barese e a Roma, entro un anno si spera in Campania e in grandi città come Padova e Torino. Ogni cinque-sei mesi conto di verificare l’avanzamento dell’attività appoggiandomi a medici e tecnici dei vari territori che mi permettono di mantenerne la sostenibilità: qualcuno dei miei collaboratori ha anche lui lasciato il Regno Unito per collaborare con me. E poi estenderemo il servizio anche all’ostetricia. La grande opportunità di semplificazione che bisogna cogliere è, ad esempio, nella possibilità di ricevere a casa propria un operatore che, con la sua strumentazione, fa la visita direttamente dal paziente mentre il medico curante può accedere alla cartella clinica digitale».
LE DIFFICOLTA’ E LA RISCOSSA
C’è qualcosa che rimpiange della sua esperienza tra Belfast e Londra?
«Beh, quando penso che molte start up italiane hanno sede nel Regno Unito, capisco che è quasi una scelta obbligata se poi qui in Italia può capitare, come è successo a me, che prima di avviare la tua attività l’Inps ti chieda 4mila euro… Una spesa che ho potuto abbattere è stata quella della sede operativa: con il coworking si condivide. E comunque, se mai la mia generazione inizia a scardinare questo sistema fin dalle piccole cose, rischia di non fare altro che lamentarsi».
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