Gli uffici della Regione Basilicata
5 minuti per la letturaPOTENZA – E’ una Regione al bivio, incerta sulla strada da percorrere, quella riemersa da mesi di crisi non dichiarata all’interno della coalizione di centrodestra uscita vincitrice dalle elezioni del 2019, seguiti da 6 settimane ad alta tensione. Con l’annuncio, a inizio febbraio, del ritiro dei due assessori leghisti, in realtà mai formalizzato, seguito dall’azzeramento della giunta e dalla sua ricomposizione. Quindi lo strappo con Fratelli d’Italia e l’ormai ex assessore forzista Rocco Leone, che ha lasciato il governatore Vito Bardi e i suoi con soli 10 voti in Consiglio su 21. Privi di fatto di una maggioranza autosufficiente per continuare ad amministrare la macchina di via Verrastro.
Qualcosa in più di quello che accadrà di qui in avanti si dovrebbe capire martedì, quando il governatore Vito Bardi è atteso all’interno del parlamentino lucano per la presentazione della giunta appena nominata.
LO SPETTRO DIMISSIONI
C’è da giurarci, quindi, che per tutta la giornata odierna negli uffici della presidenza andranno avanti le consultazioni esplorative sulle varie possibilità a disposizione. Con l’obiettivo di evitare il gesto estremo delle dimissioni, come resa definitiva all’ingovernabilità, che in passato Bardi ha pure paventato, in qualche occasione, per mettere in riga i componenti più irrequieti della sua maggioranza. Un gesto che oggi potrebbe avere effetti ancora più dirompenti lasciando sostanzialmente senza guida una Regione alle prese con la coda di una drammatica pandemia, gli obblighi di programmazione per i fondi del Piano di ripresa e resilienza, e gli effetti economici della crisi ucraina. Che per un territorio ricco di idrocarburi come quello lucano potrebbero tradursi in pressioni per l’aumento della produzione.
L’ANATRA ZOPPA
Andare avanti così, con soli 10 voti su 21 in Consiglio a disposizione, incluso in suo, per Bardi equivarrebbe a una condanna a due anni di “anatra zoppa”. Con un parlamentino dove atti e proposte di legge della sua giunta verrebbero sistematicamente bocciati, al netto di accordi estemporanei su specifici provvedimenti. Uno scenario alquanto deprimente, in cui quasi certamente l’azione amministrativa andrebbe avanti a ritmo ridotto, e qualunque iniziativa sarebbe condizionata dalla personale agenda politica di ogni singolo consigliere, forte di un sostanziale potere di veto.
IL MODELLO DRAGHI
E’ chiaro, quindi, che la tentazione potrebbe essere quella di un allargamento della maggioranza sul modello di quanto avvenuto l’anno scorso, a Roma, nel nome delle emergenze che affliggono il Paese e dell’esigenza di affrontarle per il bene di tutti. Oltre che dello spirito di autoconservazione di molti parlamentari che sanno che non verranno mai rieletti.
Dunque spetterebbe a Partito democratico e Movimento 5 stelle andare in soccorso al governatore sopperendo al sostegno venuto meno da parte dei meloniani, che anche a Roma sono all’opposizione del governo guidato da Mario Draghi. Oltre all’ex candidato governatore del centrosinistra Carlo Trerorola, che sabato ha augurato buon lavoro alla nuova giunta aprendo a una «collaborazione con l’intero Consiglio regionale» seppure «nel rigoroso rispetto dei ruoli a ciascuno assegnati dall’elettorato».
A Bardi, invece, residuerebbe il ruolo di traghettatore di questa maggioranza, assai più variegata di quella con cui ha avuto a che fare negli ultimi 3 anni, e della Basilicata tutta, sino alla fine naturale della legislatura. Il tutto con un nuovo rimpasto per suggellare l’intesa, con l’ingresso in giunta dei nuovi amici, o l’elezione di un loro esponente alla presidenza del Consiglio regionale. Sempre che a Roma i vertici di Lega e Forza Italia diano il loro via libera alla cosa, superando l’opposizione manifestata in più occasioni a livello locale dai rispettivi esponenti.
IL GOVERNO A TERMINE
Che da settimane Pd e 5 stelle si interroghino su una possibile richiesta di aiuto da parte di Bardi si capisce bene leggendo il tenore delle ultime dichiarazioni arrivate da ambo i fronti. I pentastellati, ad esempio, sabato hanno voluto escludere esplicitamente «qualsiasi collaborazione con questi irresponsabili».
Di diverso avviso, invece, l’ex governatore Pd Marcello Pittella, che nei giorni scorsi ha paventato l’ipotesi di un «governo di scopo», di durata limitata, per poi andare a nuove elezioni in un tempo ragionevole, ma comunque prima della fine naturale della legislatura. Tempo ragionevole che più di qualcuno tra i democratici ha già individuato tra un anno esatto. In modo da far coincidere elezioni regionali ed elezioni politiche, e agevolare la soluzione di una serie di questioni interne. A partire proprio dal futuro di Pittella, diviso tra la tentazione di correre per un secondo mandato da governatore, e quella di un approdo in Parlamento.
LA SFIDUCIA
Sabato pomeriggio, dopo l’annuncio della nuova giunta regionale e la spaccatura consumatasi con i meloniani, anche il segretario regionale Raffaele La Regina è intervenuto sulla situazione. Ma la sua è stata una chiusura esplicita a qualunque possibilità di intesa con Bardi e i suoi. Anche a breve termine. Con l’invito al governatore a restituire ai lucani la parola dimettendosi e favorendo le lezioni anticipate.
Ove questo invito non fosse accolto nei prossimi giorni, quindi, coerenza vorrebbe che dal Pd fosse proposta una mozione di sfiducia al governatore, che da Statuto ha bisogno di almeno 4 firmatari. Sicché ai due democratici, Pittella e Roberto Cifarelli, dovrebbero aggiungersi almeno 2 dei 3 pentastellati, o i 2 renziani, o Trerotola più l’ex assessore Leone, o i 2 meloniani appena passati all’opposizione. A quel punto, in aula, servirebbero 11 voti, proprio quanti se ne contano, oggi, tra M5s, Pd, renziani, meloniani, Trerotola e Leone, perché la mozione sia approvata, costringendo il governatore alle dimissioni e allo scioglimento anticipato del Consiglio. Con l’indizione di nuove elezioni che dovrebbero svolgersi entro tre mesi.
Sempre che qualcuno le voglia davvero.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA