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L’Autorità anticorruzione ha dichiarato illegittima la presenza dei sindaci nel consiglio di amministrazione di Acquedotto Lucano, si rischia un conflitto di interessi e così saltano le nomine


RISCHIANO di infrangersi contro la legge Severino i piani per la riorganizzazione di Acquedotto lucano spa, col ritorno a un consiglio di amministrazione in luogo dell’amministratore unico esistente 11 anni a questa parte.

L’altolà è arrivato nei giorni scorsi dal presidente dell’Autorità nazionale anti corruzione (Anac), Giuseppe Busia. In particolare da una delibera del 5 febbraio, anonimizzata per non rendere riconoscibili i protagonisti della vicenda, su un caso per molti aspetti simile a quello che potrebbe configurarsi nella spa di proprietà di Regione e 119 comuni lucani su 131, che gestisce il servizio idrico integrato in Basilicata. Specie se dovessero essere confermate le indiscrezioni che vedono il blocco delle amministrazioni di centrosinistra determinato a rafforzarsi portando all’interno del cda due sindaci, e il centrodestra, forte della maggioranza assembleare assicurata dal peso societario della Regione, a fare altrettanto per almeno uno dei tre posti residui.

Nel mirino è finita la nomina di un sindaco come presidente del consiglio di amministrazione di una società, di cui il suo comune detiene una quota minoritaria, impegnata nel «promuovere lo sviluppo ed i fattori competitivi del territorio del comprensorio».
L’Anac ha bocciato tutta una serie di giustificazioni addotte dai responsabili per la prevenzione della corruzione del comune del sindaco e della società che hanno escluso «situazioni di conflitto d’interesse».

LA TESI DELL’ANAC CHE DICHIARA ILLEGITTIMA LA NOMINA DEI SINDACI NEL CDA DI ACQUEDOTTO LUCANO

«Anche qualora la partecipazione pubblica di controllo del capitale sociale di una società non sia riconducibile ad una singola amministrazione, ma a diverse amministrazioni pubbliche, ciò non ha conseguenze sulla natura giuridica della società partecipata, in quanto la partecipazione pubblica, complessivamente considerata, è una partecipazione di controllo».
Questo uno dei principi fissati dall’Autorità che ha poi censurato l’immedesimazione tra controllore, ovvero il sindaco-socio, e controllato, che sarebbe il sindaco-presidente del consiglio di amministrazione. Dirimente, in questo senso, sarebbe il carattere gestionale dell’incarico di presidente del cda, derivato dallo statuto della società in questione. Statuto simile, in molti aspetti, a quello di Acquedotto lucano che prevede, sì, la possibilità del cda di delegare al presidente una serie di «attribuzioni», come pure la nomina di un direttore generale, ma riserva all’organo collegiale una serie di attività.

L’Anac ha evidenziato, infine, che un caso come quello esaminato non rappresenterebbe una semplice incompatibilità bensì una causa di inconferibilità che renderebbe nulla la nomina in questione.
La decisione di tornare al consiglio di amministrazione era arrivata a ottobre a scapito della volontà del governatore Vito Bardi di confermare per altri tre anni l’amministratore unico uscente, Alfonso Andretta.

A mettere in minoranza il governatore era stata un’inedita cordata tra il centrosinistra e i meloniani di Fratelli d’Italia, a cui si è aggregato, all’ultimo momento, il resto del centrodestra.
Nei giorni scorsi erano circolati anche i nomi dei possibili consiglieri di amministrazione come i sindaci di Pisticci e Castelmezzano, Domenico Albano e Nicola Valluzzi, in quota centrosinistra, e il sindaco di Venosa, Franco Mollica, in quota centristi-Forza Italia.

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