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POTENZA – Ci sarebbero delle intercettazioni inedite, semi-nascoste tra le migliaia di pagine delle inchieste giudiziarie sull’amministrazione in carica, che svelano rapporti e simpatie del «capoclan» di Melfi con almeno due ex sindaci di centrodestra. Oltre a non meglio precisati imprenditori vicini alla stessa area politica e operanti nell’area industriale di San Nicola.


Sono ombre pesanti quelle che si allungano sul voto nella cittadina federiciana dopo la relazione di fine mandato pronunciata mercoledì sera in consiglio comunale dal primo cittadino uscente, Livio Valvano.


Arrivato al termine del suo secondo quinquennio alla guida del Comune, Valvano ha voluto lanciare un vero e proprio allarme sul possibile ritorno in sella di quel «gruppo» che amministrava la città in precedenza. Ha liquidato le inchieste che hanno preso di mira lui e i suoi assessori come «macroscopici errori investigativi». Ma ha soprattutto sostenuto che sia stata la discontinuità rappresentata dalla sua amministrazione a fermare il commissariamento per mafia del Comune avviato nel 2019. Con lo stigma indelebile che ne sarebbe derivato, anche a livello internazionale, per una località conosciuta nel mondo per la presenza del più grande stabilimento del gruppo Stellantis in Italia, oltre che le Costituzioni di Federico II, vero motore industriale della regione e quarto centro lucano per numero di abitanti.


Da segretario regionale e portavoce nazionale del Partito socialista italiano, Valvano ha paragonato la sua personale vicenda giudiziaria a una «tortura» e all’umiliazione che veniva imposta dai fascisti ai deputati socialisti con l’olio di ricino. Quindi come principale responsabile del «gigantesco errore» compiuto, (per cui restano aperti due distinti processi a Potenza per reati come turbativa nella scelta del contraente, abuso d’ufficio e truffa) ha indicato l’ex procuratore aggiunto di Potenza, Francesco Basentini (in seguito nominato direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e attualmente in servizio).
Il sindaco uscente ha rinfacciato al pm il «non comune spessore delinquenziale» attribuitogli in alcuni atti giudiziari, contro «l’encomio» di cui lo ha dichiarato meritevole la Corte di cassazione, smontando alcune delle accuse nei suoi confronti. Poi si è profuso in una difesa accorata dell’ex presidente del Consiglio comunale, Luigi Simonetti (Pd), colpito a sua volta da un’inchiesta giudiziaria che lo aveva identificato come la «testa di ponte» in Comune del clan mafioso dei Di Muro.


Un’identificazione smentita, in seguito, grazie alla scoperta di un clamoroso scambio di persona nell’interpretazione del testo di un’intercettazione tra lui e un altro «Luigi», avvocato, e di Forza Italia.
Infine è arrivato l’affondo nei confronti dei suoi predecessori, il consigliere comunale uscente Ernesto Navazio e l’attuale coordinatore provinciale di Forza Italia Nicola Pagliuca.


Entrambi, infatti, sono stati nominati da Valvano rivelando il contenuto di alcune intercettazioni scoperte tra i faldoni delle inchieste nei suoi confronti, in cui si sentirebbe la voce del «capoclan» dei Di Muro.
«In una dice che Navazio e Pagliuca sarebbero gli unici in grado di “sbloccare tutto e di permettere di far lavorare”». Ha spiegato il sindaco uscente.


In un’altra, invece, i due ex sindaci verebbero definiti «persone spregiudicate e in quanto tali capaci di avere idee utili per Melfi», perché a detta del boss «se si è capaci di fare i propri personali interessi allora è possibile essere utili per gli altri».
Parole pesanti che potrebbero avere conseguenze di rilievo se Navazio e Pagliuca, che non risultano coinvolti in inchieste dell’Antimafia, decideranno di sottoporle al vaglio dell’autorità giudiziaria chiedendo soddisfazione per la lesione della loro onorabilità.

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