Francesco Bernasconi
8 minuti per la letturaPOTENZA – Via dalla Basilicata a soltanto sette mesi dal suo arrivo per assumere l’incarico di primario del reparto di ostetricia ginecologia del presidio ospedaliero San Giovanni di Dio di Melfi. Anche a costo di pagare una multa per il mancato preavviso. Colpa del covid, certo. Ma anche dell’«incertezza» sul futuro del punto nascite della cittadina federiciana, messo nuovamente in discussione anche di recente dai vertici della Regione. E di una direzione aziendale, quella del San Carlo, che da un anno a questa parte avrebbe pensato più a «sanzionare la gente che non sul metterla in condizioni di poter lavorare in maniera vivace e attiva».
Tornerà nella sua Brianza il 1 luglio Francesco Bernasconi, direttore dell’unità operativa di ginecologia e ostetricia di Melfi, presentato in pompa magna, a metà settembre, dall’assessore regionale alla Salute Rocco Leone e dal direttore generale del San Carlo Massimo Barresi, dopo un’estate segnata da disagi di vario tipo per le gestanti lucane.
Bernasconi, che qualcuno ricorda per i suoi trascorsi giovanili nel calcio professionistico, andrà via senza essere riuscito a far fare quel «salto» alla struttura melfitana che servirebbe per colmare la distanza tra i circa 370 nati all’anno attuali ai 500 che sono considerati il minimo a livello nazionale per mantenere standard qualitativi adeguati.
Dottore, come mai?
«C’è un problema familiare perché ho passato 10 settimane senza poter vedere la famiglia a causa del covid e pesa molto. D’altra parte ho avuto un’offerta con un contratto diretto in un ospedale che non finisce quotidianamente sui giornali per minacce di chiusura come è accaduto a Melfi per l’ennesima volta 7 giorni fa. A un certo punto mi sono stancato di una situazione che non si definiva mai. Prima il problema con la pediatria, poi con la ginecologia. Poi è arrivato anche il coronavirus… Hanno fatto di tutto per minare il più possibile un progetto di rinascita e di ricostruzione che era nella mia testa, nel mio cuore, e nel cuore di tutti i miei collaboratori. E’ venuta a mancare persino la sicurezza del posto di lavoro. Tutte queste cose giustamente valutate mi hanno spinto a considerare una proposta che era migliore di per sé, e più sicura».
Non crede alle rassicurazioni che puntualmente vengono fornite quando si parla di chiusura del punto nascite di Melfi?
«Le rassicurazioni, nel momento in cui non si fanno investimenti e non si fanno cambiamenti di alcun genere, diventano solo parole».
A che investimenti mancati si riferisce?
«Da quando sono arrivato io non ho avuto né l’assunzione di assistenti, che invece era prevista, né l’acquisto di strumenti, che erano altrettanto previsti. Se tutto questo non avviene in un anno vuol dire che non c’è poi quel grande entusiasmo e quella grande passione che alla fine uno si aspettava di incontrare. E passa anche a chi come me ne era portatore di suo».
C’era una programmazione di assunzioni che è stata delusa?
«C’è un reparto vive con 4 assistenti da più di un anno e mezzo, che non fanno ferie, non fanno riposi e non hanno la possibilità di fare recuperi, lasciando decine e decine di ore nel cassetto. E questo è solo uno dei tanti problemi che non sono stati risolti. Dall’altra parte l’idea di costruire un polo anche chirurgico di qualità non ha trovato un sostegno di investimenti adeguato. Poi col covid si è tutto congelato. Quindi non è stato possibile nemmeno indurre quei cambiamenti che invece sarebbero stati necessari».
Pensa che nei prossimi anni non ci sarà modo di rimediare perché la sanità, non solo quella lucana, dovrà concentrarsi e riorganizzarsi attorno al tema covid?
«Certo. Sono convinto che non ci saranno grandi possibilità di miglioramento. Perciò, in queste condizioni, avendo un’alternativa, ovviamente ho sposato l’alternativa».
Sua moglie è di Melfi anche se da anni vive con lei in Lombardia. Come siete rimasti separati durante la quarantena?
«I miei figli hanno la maturità tra due settimane e lei non avrebbe mai potuto lasciarli. Un suo ritorno in Basilicata ci sarebbe potuto essere ma soltanto in presenza di una sicurezza sul mantenimento di una struttura, su cui invece io ho qualche dubbio».
Pensa davvero che ci sia un rischio di chiusura concreto del punto nascite?
«Qualche perplessità c’è sicuramente. Tenendo conto che io ho un contratto che è quinquennale ovviamente di fronte a una proposta di durata uguale in una struttura che sicuramente non corre rischi di avere ulteriori ridimensionamenti ho preferito fare una scelta diversa».
La scorsa settimana fa prendendo atto delle sue dimissioni l’ufficio personale del San Carlo l’ha sanzionata con una multa da 2.600 euro per il mancato preavviso. Così male vi siete lasciati con la direzione aziendale?
«Io ho ampiamente rispettato il preavviso di 90 giorni previsto. Il 1 aprile ho avvisato della mia decisione e del fatto che avrei preso servizio altrove il 1 luglio. Ma essendoci in mezzo il sabato e la domenica, non avendo utilizzato la pec, la mia lettera di dimissioni è diventata operativa 6/7 giorni dopo. Avrei potuto benissimo spostare la mia partenza dal 1 al 7/8 luglio ma non ha alcun senso in questo momento».
Ormai il rapporto è rotto?
«Certo. Per cui se vogliono sanzionare per un difetto di forma di qualche giorno facciano pure. Non c’è problema. D’altra parte la loro attenzione è stata più sul sanzionare la gente che non sul metterla in condizioni di poter lavorare in maniera vivace e attiva».
Ce l’ha solo con la direzione aziendale o anche con la Regione Basilicata?
«Credo che la Regione Basilicata soffra un po’ di confusione. Il fatto stesso che dopo due anni rivedano ulteriormente la riorganizzazione della sanità dimostra che quella che avevano pensato non ha funzionato».
In mezzo c’è stato un passaggio politico di non poco conto.
«Rivedono l’organizzazione un’altra volta e non si capisce con chiarezza quali siano in realtà i progetti. Quindi il rischio è che si tiri in mezzo una struttura di cui io tuttora sono direttore. Tutte queste incertezze non aiutano le persone a restare dove sono».
Cosa può fare allora la Basilicata per attirare e non fare andare via le professionalità di cui ha bisogno il suo sistema sanitario?
«Io credo in cuor mio che la Regione Basilicata abbia le sue eccellenze. In questo momento c’è un polo a Potenza che non ha da invidiare nulla a nessuno. Ha un polo a Matera che credo sia assolutamente all’altezza di gestire una specialità come la mia. In questo momento ci sono difficoltà nelle specialità di ostetricia e ginecologia perché con l’abbassamento della natalità e l’invecchiamento della popolazione della Basilicata anche la richiesta ostetrica tende ad abbassarsi. D’altro canto si sarebbe potuto fermare almeno in parte la fuga che c’è verso le regioni vicine a favore della realtà di Melfi. Però non è così facile. Sono tantissime le variabili che entrano in gioco. Probabilmente la Basilicata dovrebbe riorganizzare alcune realtà e integrarle in maniera diversa. Melfi avrebbe potuto benissimo costruire un percorso con il Crob di Rionero che è vicino. Avrebbero potuto diventare un unico polo strategico su due binari paralleli. Ma non c’è stata la possibilità. Se è vero che faranno un’unica azienda ospedaliera questo potrebbe dare fiato e nuova linfa alle strutture periferiche che hanno un po’ sofferto in questi 2/3 anni. Forse alla Basilicata manca una visione un po’ più strategica per quello che è il polo di Melfi, che si trova al di sopra di Potenza in un territorio come il Vulture che ha avuto una perdita di persone a favore di altre realtà. Per questo fa fatica a tenere il suo passo. Noi manteniamo quel numero di parti che c’erano prima che io arrivassi. Non abbiamo perso numeri significativi. Ma non siamo riusciti a fare quel balzo che era necessario. Ho tentato con attività anche sul territorio, con degli incontri con tutte le realtà periferiche, di offrire la mia immagine. Però non c’è stata una risposta e a un certo punto s’è materializzato questo problema del coronavirus, che ha sicuramente penalizzato molto proprio la struttura di Melfi. Bisogna lavorarci molto con pazienza e con il tempo. Io questo tempo non ce l’ho quindi penso che chi andrà a sostituirmi possa avere delle chance per fare un ottimo lavoro. Sicuramente migliore del mio».
Gli investimenti, o il tempo? Quali sono i fattori che rischiano di compromettere la riuscita di questo balzo?
«La responsabilità primaria è proprio del Vulture. Noi abbiamo dei paesi, delle realtà del Vulture che non fanno riferimento a Melfi. Questo è un dato di fatto. Questa perdita di decine e decine di parti ha impedito a Melfi di raggiungere quello che era il suo ruolo strategico, ovvero di essere l’ospedale del Vulture».
E dove vanno queste persone?
«Ci sono alcuni paesi che vanno decisamente verso Cerignola, paesi che vanno verso Potenza, paesi che vanno verso Foggia. Quindi questo spostamento e il non attaccamento dei paesi del Vulture all’ospedale di Melfi crea il suo indebolimento. Per quello che è la mia specialità ovviamente. Per altre la situazione è diversa. Io posso dire, comunque, di avere avuto una bellissima esperienza a Melfi, di aver costruito un ottimo rapporto con la mia equipe, sia medica che ostetrica. Ho trovato delle persone coraggiose che hanno fatto una fatica immensa e hanno creduto in questo progetto e sono convinto che crederanno fino in fondo a qualunque progetto di rilancio dell’ospedale e della realtà di Melfi. Sono contento che Melfi abbia un suo reparto e una sua equipe, alla quale bisognerà dare una guida probabilmente diversa dalla mia».
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