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NEI giorni scorsi il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera al disegno di legge costituzionale di riforma della giustizia, che riscrive l’assetto della carriera dei magistrati, il giudizio disciplinare ed il governo autonomo della magistratura, prevedendo, in estrema sintesi:

  • a) la separazione delle carriere tra magistratura giudicante e magistratura requirente;
  • b) la creazione di due Csm (il Consiglio superiore della magistranura giudicante ed il Consiglio superiore della magistratura requirente), entrambi presieduti dal capo dello Stato, composti per 1/3 da membri laici e per 2/3 da membri togati, tutti estratti a sorte;
  • c) l’istituzione di un’Alta Corte per i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati, costituita da 15 membri, di cui 3 scelti dal Presidente della Repubblica, 3 estratti a sorte tra professori universitari ed avvocati, e 9 scelti tra magistrati con il sistema del sorteggio.

L’iniziativa è stata accompagnata da espressioni trionfali (“provvedimento epocale” lo ha definito il ministro della Giustizia), anche se l’iter parlamentare si annuncia piuttosto complesso, dal momento che si tratta di un disegno di legge costituzionale, che richiede per la sua approvazione una maggioranza qualificata, con possibilità di essere sottoposto a referendum confermativo nel caso in cui tale maggioranza non venga raggiunta. L’obiettivo di chiamato dal ministro Nordio è quello di «attuare il principio fondamentale del processo accusatorio voluto da Vassalli», con la rassicurazione che «la magistratura requirente è e resterà indipendente dal potere esecutivo», e che si «interromperá la degenerazione correntizia».

Premetto che il mio giudizio sulle proposte di riforma della magistratura, fondato su di un’esperienza giudiziaria quasi quarantennale trascorsa in tutti gli uffici giudiziari di merito, è favorevole alla nomina dei componenti del Csm con il sorteggio, critico per quanto riguarda l’istituzione dell’Alta Corte disciplinare e decisamente contrario alla separazione delle carriere. Con riguardo al primo punto, non vi è indubbio che la causa principale degli scandali che hanno interessato negli ultimi anni il Csm, trasformatosi in una sorta di “nominificio” governato dalla lottizzazione degli incarichi direttivi e semidirettivi degli uffici giudiziari, è da ricondurre ad un fenomeno degenerativo, che ha finito per sostituire, in maniera pressoché sistematica, il criterio del merito con quello dell’appartenenza ad una corrente associativa. Le conversazioni desunte dalle chat estratte dal cellulare di Luca Palamara, già presidente dell’Anm, leader della corrente Unicost e componente del Csm, nelle quali i dirigenti delle correnti, ma anche gli stessi magistrati interessati alle nomine, rivolgevano calorose raccomandazioni al dottor Palamara, costituiscono uno spaccato eloquente del funzionamento del sistema delle nomine. In particolare, la vicenda relativa alla trattativa per la nomina del procuratore della Repubblica di Roma, meglio nota come scandalo dell’h “Hotel Champagne”, ufficio che secondo il “manuale Cencelli” degli incarichi politici vale almeno due ministeri, risulta particolarmente allarmante, in quanto dimostrativa dell’esistenza di un sistema di interferenze esterne all’organo consiliare, portatore di interessi opachi e, quindi, in grado di corrodere il corretto funzionamento delle istituzioni democratiche. Né la riforma elettorale targata Cartabia sembra aver posto fine alla degenerazione correntizia, come si rileva, tra l’altro, anche dalla recente vicenda che ha riguardato la nomina del Procuratore della Repubblica di Catania, oggetto di trattative defatiganti fra le correnti e trascinatasi per mesi nella competente Commissione del Csm, tanto da indurre il relatore della pratica ad abbandonare la seduta in segno di protesta e ad accusare l’organo consiliare di «perseverare in dinamiche estranee alle logiche procedimentali e di merito che ne disciplinano l’attività».

Alberto Iannuzzi, già presidente reggente della Corte d’appello di Potenza

Nelle intenzioni del riformatore il sistema dell’estrazione a sorte dovrebbe spezzare il legame esistente tra i componenti eletti nel Csm e le correnti associative, allo scopo di rendere ciascun consigliere libero di valutare e decidere le pratiche consiliari, in particolare quelle relative alle nomine, applicando i criteri previsti dalla legge senza essere condizionato dall’appartenenza correntizia, bensì in piena autonomia, seguendo la stessa logica con cui il giudice decide le case sottoposte alla sua cognizione. A tal fine, però, è importante porre mano anche alla riforma del testo unico sulla dirigenza giudiziaria, stabilendo limiti più stringenti, attraverso la previsione di criteri di valutazione meno elastici ed una gerarchia degli stessi, in modo da stabilire limiti più stringenti all’esercizio della discrezionalità soprattutto in materia di nomine degli uffici direttivi semidirettivi. In tal modo, l’Anm (Associazione nazionale magistrati, ndr) tornerebbe a svolgere la sua naturale funzione di tutela dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, nonché di controllo dell’attività del Csm, e le correnti associative ritornerebbero ad essere espressione dei diversi orientamenti ideali esistenti all’interno della magistratura associata.

Al fine di garantire un minimo di selezione e di rappresentatività dei componenti del Csm si potrebbe prevedere che il sistema di estrazione non sia quello del “sorteggio secco”, bensì quello del “sorteggio temperato”, vale a dire dell’estrazione a sorte di un numero limitato di magistrati, fra coloro che abbiano dato la disponibilità ad essere eletti, e la successiva elezione fra costoro, in modo da consentire ai magistrati di scegliere il proprio rappresentante di fiducia fra i sorteggiati, svincolati dal legame con le correnti. Insomma, per dirla in breve, è necessario che il Csm sia meno governato dalla politica e dalle correnti associative e che, invece, prevalgano il merito ed il diritto! Il sistema di nomina per sorteggio, liberando i componenti del Csm dalle logiche di appartenenza alle correnti, consentirebbe anche di porre la sezione disciplinare al riparo dal rischio che le decisioni assunte nei procedimenti a carico dei magistrati vengano assunte secondo le logiche correntizie tipiche della cd. “giustizia domestica”.

In questo modo verrebbe meno anche la necessità di istituire un organo speciale qual è l’Alta Corte disciplinare, che nella riforma Nordio appare sbilanciato nella sua composizione, in quanto prevede la presenza di alcuni componenti estranei alla magistratura designati e non estratti a sorte, come avviene per i magistrati. La modifica del sistema di composizione del Csm è sicuramente un fatto importante per il corretto fimnionamento di un organo di rilevanza costituzionale, ma non è certamente il problema più importante per una giustizia attenta alle esigenze dei cittadini e rispondente alle aspettative di coloro che operano quotidianamente nel variegato mondo giudiziario. La più grande riforma della magistratura, invero, è innanzitutto quella di far funzionare la macchina giudiziaria, in primo luogo colmando i vuoti di organico, sia dei magistrati che del personale amministrativo, considerando che la giustizia è chiamata oggi a misurarsi con problematiche sempre più complesse. C’è una domumda forte di legalità, di certezza del diritto e di prevedibilità delle decisioni che risolvono le controversie, che esige una risposta giudiziaria celere ed efficace, la quale deve essere accompagnata e sostenuta da interventi normativi ed organizzativi chiari negli obiettivi perseguiti e coerenti con le scelte operate dagli organi istituzionali.

Il metodo da seguire nell’attuare questi interventi è, in primo luogo, quello di acquisire una conoscenza approfondita dei problemi reali, mettendo intorno ad un tavolo persone che, oltre ad avere una conoscenza tecnica del diritto, abbiamo esperienza concreta di come funziona, considerando, poi, che la giustizia non è solo una faccenda di tribunali, ma un processo culturale dal passo molto lento, che può affermarsi solo attraverso percorsi educativi in grado di sensibilizzare soprattutto le nuove generazioni. Ed è questo un compito impegnativo, che può dare frutti solo nel tempo, affidato a tutte le agenzie educative: in primis la famiglia e la scuola. La riforma proposta dall’attuale governo, invece, facendo seguito a quella che prevede la modifica della disciplina delle intercettazioni, l’abolizione del resto di abuso d’ufficio e la norma cosiddetta bavaglio sulle ordinanze di arresto, sembra più preoccupata di limitare il controllo di legalità svolto dalla magistratura, che di dare una risposta alla domanda di giustizia che promana dai cittadini, dal momento che non affronta il grave problema che da anni affligge la giustizia, vale a dire l’interminabile ed inaccettabile durata dei processi.

Si tratta di un problema annoso, che già un secolo fa indusse un grande giurista del ‘900, Francesco Camelutti, ad affermare che «gli uomini di governo danno atto periodicamente delle esigenze di una giustizia rapida e sicura ma basterebbe che avessero conoscenza delle strettezze materiali, spesso inconcepibili, nelle quali servizio si compie, per rendersi conto che in pratica codeste declamazioni non hanno alcuna serietà».

(1/continua)

*già presidente reggente della Corte d’appello di Potenza

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