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Uno che vede la cosa da lontano dice: ma dov’è il problema? Pochi mesi, finiscono i lavori e la stazione degli autobus di Tiburtina, a Roma, ritorna dove sta ora e dove tutti la vogliono. Invece non è così. Questa storia dello spostamento di tutti i bus in arrivo nella capitale nella zona di Anagnina, è emblematica del clima di sfiducia che si è creato nel nostro Paese, a forza di selfie, spot, tweet, esternazioni di stampo populista e sovranista. I viaggiatori che arrivano da fuori, in particolare dal Sud, guardano a questo trasloco come una iattura. Il motivo non è solo di comodità e posizione agevolata: l’avversione nasce dalla mancanza di credibilità che oggi caratterizza la classe politica e dirigente italiana. Sembra una cosa solo per alimentare le chiacchiere serali dei predicatori e dei soloni della tv, per gli urlatori senza costrutto; ma poi ha conseguenze pratiche, concrete, che si riflettono su tutto l’umore del Paese. Se siamo fermi da 20 anni è anche colpa di questa mentalità assurda, la quale ha di certo al Sud un’origine antica, ma che di recente è entrata nelle teste a forza di vaffaday e di odiatori sociali.
Nessun viaggiatore che oggi utilizza la stazione degli autobus di Tiburtina crede che il disagio (perché tale è) si risolverà in pochi mesi. Temono tutti che lo spostamento diventerà definitivo. E se così dovesse essere, sarebbe un disastro non solo per chi prende il pullman per venire a Roma, ma anche per il resto del sistema trasporti italiano. Oggi a Tiburtina c’è uno snodo funzionale delicato e importante: in pochi metri sono concentrati la stazione della metro B, un terminal fondamentale per i collegamenti con le realtà urbane di Roma, un fermata importante per i treni dell’alta velocità. Senza contare che i pullman approdano a qualsiasi ora del giorno in un contesto non decentrato, in un’area sorvegliata e ben fornita di altri servizi. Per i calabresi, poi, Tiburtina rappresenta l’approdo naturale per piazza Bologna, dove da decenni vivono migliaia e migliaia di emigrati, al punto da essere considerata come una parte di Reggio o di Cosenza. Per loro è come passare da quartiere all’altro della propria terra. E allora? Torniamo al punto di partenza, o meglio al capolinea. C’è qualcuno in grado di convincere che il disagio sarà solo per poco? Strana Italia, quella di questi anni. Milioni di persone si fidano più di maghi e chiromanti che di un sindaco o di un ministro.
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