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Il racconto dell’inferno che l’alluvione ha scatenato su Valencia nelle parole della lucana Patrizia Gerace che dal 2008 vive nella città spagnola


Nella zona a sud di Valencia si è letteralmente materializzato l’inferno, la notizia dei morti – ieri 211 accertati, ma il bilancio è destinato ad aggravarsi – e le immagini delle distruzione successive all’alluvione causata dall’ormai famigerata Dana, hanno fatto il giro del mondo. Le conseguenze, purtroppo, si prevede possano protrarsi ancora per tanto tempo: chi ha avuto la fortuna di sopravvivere ha perso tutto e, adesso, si trova costretto a ricominciare proprio dove, tra martedì e mercoledì scorsi, la tragedia ha lasciato di sé la devastazione più totale.

ALLUVIONE DI VALENCIA, IL RACCONTO DI UNA LUCANA CHE VIVE NELLA CITTÀ SPAGNOLA DAL 2008

Una ferita che necessiterà di anni per rimarginarsi. Patrizia Gerace, rotondese sposata con due bambini piccoli e trapiantata a Valencia dal 2008, per puro caso è riuscita a rincasare in tempo e per fortuna non ha vissuto direttamente il dramma: in città nemmeno ha piovuto, né ci sono state inondazioni. Tuttavia, teme che gli effetti di questa catastrofe possano comunque colpire la sua famiglia, così come tutta Valencia, per una crisi economica che inevitabilmente verrà avvertita. Inoltre, riferendosi all’immediata attualità, sta facendo sempre più breccia la paura di possibili epidemie, piuttosto che per la mancanza di medicinali o generi di prima necessità. Senza trascurare le grandi difficoltà a ripulire tutto ed a ritrovare gli ancora tantissimi dispersi.

Alluvione di Valencia, il racconto della testimone lucana: Signora Gerace, innanzitutto come state?

«Noi in città stiamo bene, addirittura quel giorno nemmeno ha piovuto. Per fortuna, io sono rientrata da lavoro in tempo per decisione dell’azienda e non perché ci fosse la minima idea di quanto stesse per succedere. Valencia si è salvata poiché, in seguito alle precedenti alluvioni, il corso del fiume è stato deviato. L’inferno si è concretizzato in una sola ora, per quanto mi riguarda, senza questa uscita anticipata da lavoro, non avrei potuto rientrare in tempo».

Quali sono state le zone colpite dall’alluvione?

«L’ondata non è arrivata nel centro di Valencia, ma ha colpito quartieri periferici e l’area extraurbana. Noi in città non ce ne siamo accorti, l’abbiamo appreso la sera quando hanno cominciato a chiamarci colleghi e conoscenti per chiederci aiuto ma, purtroppo, a quel punto non si poteva fare nulla visto che era già tutto distrutto».

Quindi ha parenti o amici rimasti coinvolti?

«Sì, anche perché è tutto contiguo: parliamo di una distanza di un chilometro. Dal momento in cui si oltrepassa il ponte per imboccare l’autostrada verso sud, ci si accorge che non c’è più niente. L’autostrada, che adesso non c’è più, era esattamente quella che percorrevo tutti i giorni per recarmi a lavoro».

Sta montando la polemica circa i ritardi da parte delle autorità nella comunicazione dell’allerta rossa, cosa è successo realmente?

«Posso raccontare quanto successo a me, ossia che ho ricevuto sul telefono il messaggio d’allerta della Protezione Civile alle 8 di sera. A quell’ora c’erano persone già attaccate agli alberi. Credo non si sia stata una disattenzione, ma più verosimilmente ritengo non si aspettassero quello che realmente poi si sarebbe verificato. Adesso, invece, il problema è la disorganizzazione delle istituzioni poiché c’è veramente poco aiuto. Bisogna ripulire e lo stanno facendo i cittadini, ma i paesi sono isolati e nemmeno ci sono pale sufficienti per spalare fango e detriti. Non bastano neppure gli estrattori. È arrivato l’esercito ma non è sufficiente».

Avete paura di un’epidemia?

«Sì, non a caso stanno avvisando la popolazione di fare uso di mascherine e di stare attenti alle possibili contaminazioni dovute ai cadaveri o alle carcasse di animali morti. Il bilancio delle vittime è destinato ancora a crescere, i dispersi sono ancora davvero tanti. Siamo dentro una vera apocalisse».

Temete anche ripercussioni di carattere economico?

«Purtroppo ne siamo certi. Sono tantissimi quelli che hanno perso tutto ed, a cascata, le ripercussioni negative interesseranno l’intero sistema economico. Io, lavorando alla Ford, non temo di perdere il mio posto ma mio marito, che è titolare di un ristorante in centro a Valencia, sta già pensando di licenziare qualcuno dei suoi 20 dipendenti ed è molto preoccupato».

D’altronde Valencia è un città turistica, per cui dopo questa alluvione, il comparto rischia seriamente di finire in ginocchio.

«Nel prossimo futuro chi volete venga qui, sicuramente gli effetti saranno catastrofici anche da questo punto di vista. In questa settimana mio marito ha dovuto fronteggiare solamente cancellazioni».

Per quanto riguarda l’acqua e l’elettricità, state avendo conseguenze?

«Al contrario delle zone alluvionate, da noi in città non stiamo avendo simili problemi eccetto che per qualche quartiere. Nel mio, “Campanar”, acqua ed elettricità non stanno mancando. Ripeto che da noi nemmeno ha piovuto, così come in tanti di questi paesi che invece sono stati colpiti per effetto delle piene dei fiumi che però provenivano da lontano, per poi esondare in questi territori e distruggere ogni cosa: scuole, case o strade».

In città state avendo difficoltà con l’approvvigionamento?

«Non si trova niente. Mancano medicine e generi di prima necessità, che non arrivano. Inoltre, in tanti si sono fatti prendere dal panico ed hanno svuotato gli scaffali dei supermercati. In quello sotto casa mia manca addirittura la carta igienica e non si trovano carne ed acqua imbottigliata. La situazione qui è drammatica e la gente chiede aiuto».

Approssimativamente, quante persone vivono nelle zone colpite?

«Non sono in grado di dirlo con precisione, Valencia conta sugli 800mila abitanti, mentre, i paesini colpiti, ne avranno intorno ai 20 o trentamila tranne Torrente, il più grande, che ha una popolazione di circa 90mila abitanti e, a livello produttivo, è tra i più importanti a livello nazionale. L’hinterland è di fatti un’area in cui insistono i principali insediamenti industriali: la maggior parte degli abitanti di Valencia lavora in questi paesi, come del resto anche io. E, adesso, tantissime aziende non ci sono più, spazzate via dalla furia dell’alluvione».

Ora come farà a raggiungere il suo posto di lavoro?

«Non posso, fino a nuovo ordine lavorerò in smart working: tra l’altro, io lavoro per l’Italia ma abbiamo dovuto interrompere il servizio per ovvie ragioni logistiche».

Quali sono le sensazioni circa la possibilità di superare questa terribile emergenza?

«Non sono assolutamente buone, credo che le ferite ce le porteremo dietro per anni. Sarà molto difficile si rimarginino. Al momento nemmeno sappiamo il numero esatto delle vittime, né quanto ci sia da costruire. Nessuno sarà esente dalle conseguenze».

Crede ad una correlazione tra questo fenomeno estremo ed i cambiamenti climatici?

«Devo dire che le alluvioni, non certo di questa portata, dalle nostre parti non sono rare: essendo una zona molto calda, si verificano puntualmente con l’arrivo dei primi freddi e si presentano sottoforma di tempeste violente o di raffiche di vento fortissime. Adesso la temperatura è molto più calda per cui, a mio avviso, siamo dentro un cambiamento: fenomeni di tale intensità non si spiegano altrimenti».

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