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POTENZA – Sarebbe utile e giusto far sapere ogni giorno quanti dei nuovi contagiati, ospedalizzati, ricoverati in terapia intensiva e deceduti siano vaccinati? In apparenza, utilissimo e sacrosanto. Nella realtà, le cose non sono così semplici. E a spiegarcelo è il dottor Ottavio Davini, 63 anni, che è stato – tra i tanti prestigiosi ruoli della sua carriera – direttore sanitario alle Molinette di Torino. Ha pubblicato tanto, anche libri come “Il prezzo della salute” (Nutrimenti, 2013) in cui non è stato tenero con gli interessi che ruotano intorno alla salute pubblica.


Ma questa sua attitudine critica non gli impedisce, oggi, di scrivere articoli che smontano le fesserie sia grossolane sia sottili sui vaccini, riportando le verità della comunità scientifica e attirandosi ovviamente gli strali dei complottisti.
Dunque: perché i bollettini quotidiani sul Covid-19 non contengono quel dato fondamentale? Se il vaccino è così efficace come la comunità scientifica ripete, si avrebbe un triplice effetto positivo: sciogliere le riserve degli indecisi, mettere a tacere in maniera definitiva (e indolore) i no vax, demolire con la forza dei numeri le bufale.


Ma non lo si fa. Eppure, in apparenza, basterebbe incrociare i dati di due piattaforme digitali: quella dei tamponi e quella delle immunizzazioni. Far combaciare un codice fiscale.
Inoltre, nei suoi rapporto l’Istituto superiore di sanità (Iss) (uno del 6 agosto e l’altro pubblicato avantieri) mostra di averli, questi dati. E sono molto buoni: «Un forte effetto di riduzione del rischio di infezione di Sars-Cov-2 – si legge nel documento – nelle persone completamente vaccinate rispetto ai non vaccinati (82% per la diagnosi, 95% per l’ospedalizzazione, 97% per i ricoveri in terapia intensiva e 97% per i decessi»). Risultati che potrebbero spegnere ogni polemica. Ma a questo report (l’ultimo all’indirizzo https://www.epicentro.iss.it/coronavirus/bollettino/Bollettino-sorveglianza-integrata-COVID-19_11-agosto-2021.pdf) è stato assegnato sui media uno spazio marginale.


Sorge il dubbio: sono dati a campione o reali? Semplicemente si è deciso di non divulgarli quotidianamente? La situazione non è chiara.
Davini si è appassionato alla questione, ha svolto un lavoro d’indagine e ha compreso quale sia la realtà.


Perché accade tutto questo, dottor Davini?
«Un problema strutturale d’informatizzazione in sanità c’è sempre stato: non che i diversi ambiti ospedalieri e territoriali non siano informatizzati, ma si è sempre scontata una certa difficoltà a rendere interoperabili i dati. Anche perché l’informatizzazione in sanità si è sviluppata soprattutto sul versante amministrativo ».


Ed è stato così anche per la pandemia?
«La pandemia ha dato, come spesso accade in questi momenti, una grandissima accelerazione all’interoperabilità, con il ricorso a leggi ad hoc».
Ma le piattaforme dei tamponi e dei vaccini “dialogano” o no?
«La risposta breve è: sì. I dati dell’Iss seguono due tracciati: quello dei positivi al tampone e quello dei vaccinati. E questi dati vengono incrociati. Non sarebbe possibile altrimenti rilasciare il Green Pass e confermarne nel tempo la validità: il vaccinato divenuto positivo a un tampone “perde” il Green Pass finché non è negativizzato. È un dato disponibile a livello centrale».


Insomma, il governo ci aveva pensato?
«Il governo si è con accortezza premurato di interpellare il Garante della Privacy. La gestione della privacy è sempre stata problematica. Per carità, trovo giustificate le motivazioni, soprattutto sui dati sensibili, ma questo talora è un ostacolo all’utilizzo in anonimo dei dati per politiche di sanità pubblica; sul tema tra gli addetti ai lavori c’è molto dibattito, ma questa volta si è trovata una soluzione».


Quindi l’incrocio dei dati è realtà.
«L’incrocio dei dati fra nuovi positivi e vaccinati funziona bene. Ma è un dato oggettivamente di non grandissimo spessore: noi sappiamo molto bene che il vaccinato può comunque contagiarsi anche se ha probabilità molto più bassa. Ciò che è cruciale è capire chi arriva in ospedale, chi peggio ancora in terapia intensiva e chi addirittura al decesso».


Ecco. Perché questo dato non c’è?
«Non è un dato recuperabile in automatico dai flussi. So – sia dal livello ospedaliero che da quello regionale – che è un lavoro certosino, da fare caso per caso».


In che senso?
«Faccio un esempio: se confronto vaccinati e non vaccinati da una parte e ricoverati dall’altra, posso trovarmi un ricoverato che ha un tampone positivo che però è entrato in ospedale per fare una cataratta. In casi del genere bisogna andare a ripulire il dato. Lo stesso Iss segnala che ci possono essere discrepanze nei numeri e latenza (il tempo che passa fra l’inizio di un fenomeno e la sua manifestazione, ndr) nella verifica dei dati».


E a livello locale?

«Al livello regionale possono essere usati i dati dell’Iss ma si riproduce lo stesso problema semplicemente su una scala più piccola. Mi risulta che, per spinte politiche giustificate dalla richiesta di trasparenza, alcune Regioni vogliano attrezzarsi per fornire questo dato».


Ma ci sono resistenze?
«Parlando con epidemiologi ed esperti di sanità pubblica, ci sono perplessità sulla diffusione di un dato del genere, soprattutto se quotidiano».


Da dove nascono queste perplessità?
«Non è così che si valuta – con un report giornaliero o settimanale, a livello regionale – l’efficacia di una campagna vaccinale. Funziona molto di più il lavoro dell’Iss su dati di grandi dimensioni e accuratamente verificati».


In sintesi: il report dell’Istituto superiore di sanità è basato su dati puntuali ed è molto incoraggiante sull’efficacia del vaccino; invece dati quotidiani e approssimativi non lo sarebbero altrettanto.
«Come ho detto rischia di essere un dato “sporco”, ma la diffusione di dati approssimativi si lega al tema del paradosso vaccinale».


Lo spieghiamo in maniera semplice?
«Facciamo un esempio: da qualche decennio in Italia il casco per i motociclisti è obbligatorio. E’ quindi evidente che tutti quelli che muoiono in moto hanno il casco. Sorge subito la domanda: ma allora il casco è pericoloso? No, e lo sappiamo per certo. I dati dei neurochirurghi dicono che, appena fu introdotto il casco, la mortalità degli incidenti in moto scese del 50 per cento. Il casco non ti dà l’immortalità, è chiaro, ma è molto efficace».


E avviene così anche con il vaccino?
«Sì. Man mano che aumenta la quota di vaccinati, cresceranno i numeri assoluti di quelli che hanno il vaccino e si ammalano o addirittura muoiono. È quello che sta accadendo in questo momento in Israele. E poi abbiamo un altro problema che amplifica il paradosso: un’età media dei vaccinati enormemente più alta dei non vaccinati. Il vaccinato con due dosi di ottant’anni e pluripatologie ha un rischio di morte più alto del trentenne non vaccinato».


Ma il casco oramai lo usano tutti. Ci sono invece sacche di resistenza al vaccino e le informazioni sull’efficacia potrebbero averne ragione.
«L’affidabilità del dato è tanto maggiore quanto più vasta è la casistica e quanto più il dato è controllato e depurato dagli errori: è così che si ottengono risultati scientificamente validi. Il dato Iss incrocia i flussi e poi va a verificare con le regioni – nelle quali in questi mesi c’è un lavoro enorme – quanti sono in ospedale, quanti in terapia intensiva e quanti muoiono. I report hanno tabelline davvero facili da interpretare. Dimostrano una riduzione del rischio tra dieci e venti volte per i vaccinati. Fino ai 60 anni i numeri assoluti ci dicono che i casi di decesso riguardano solo i non vaccinati. Sopra i 60 anni il dato è ancora molto significativo, ma è chiaro che interviene la fragilità di base dell’individuo e il fatto che lì abbiamo vaccinato di più. E qui ritorna il casco: qualcuno si farà male lo stesso, qualcuno morirà lo stesso, ma molto, molto meno tra i vaccinati».


Ma se il report non ha grossa diffusione e i bollettini non ne parlano, chi non vuole il vaccino continuerà a non volerlo.
«La mia sensazione è che chi ha avuto un approccio particolarmente rigido alla fine ti dirà: no, quei dati sono falsi. Per me è molto importante dialogare con quelli che vengono chiamati “gli esitanti”. Con chi prevalentemente ha paura. I no vax restano nella loro bolla, quella delle teorie del complotto».


Quelle su Big Pharma?
«Otto anni fa ho scritto un libro sui temi della salute. Un capitolo era dedicato ai comportamenti scorretti dell’industria farmaceutica, ma al mondo non è tutto bianco o nero: in questa situazione, grazie a Dio, insieme alla ricerca di scienziati di tutto il mondo, c’è Big Pharma: ha prodotto lo strumento per vaccinarci».

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