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In Basilicata sono pochi i servizi per la prima infanzia e i numeri insufficienti. Una fra le poche regioni a non erogare nessun contributo diretto alle famiglie


È stato illustrato alla stampa a Potenza, nella sede Cgil di via del Gallitello, il rapporto del Coordinamento donne della Cgil Basilicata, realizzato dal centro studi Ires Cgil, sui servizi all’infanzia in Basilicata. Sono intervenute le segretarie regionali Giuliana Scarano e Anna Russelli e in videoconferenza il direttore scientifico Ires Cgil Basilicata Riccardo Achilli. Ecco il testo integrale della relazione.

Al 2021, come emerge dai dati Istat, la Basilicata ha una copertura di servizi educativi per la prima infanzia (visti nell’insieme, ovvero nidi, micronidi, servizi integrativi, sezioni primavera, ecc.) pari al 24,4% del totale dei Comuni, con un indicatore di presa in carico pari all’8,9%. Entrambi tali dati sono largamente insufficienti rispetto al dato nazionale (rispettivamente, pari a 59,6% e 15,2%), e, con riferimento alla quota dei Comuni coperti, inferiore anche rispetto alla media meridionale (rispettivamente, 51,7% e 7%). Ma siamo anche lontanissimi dall’obiettivo di Barcellona di vent’anni fa, che voleva, negli Stati membri, una percentuale di bambini serviti di almeno il 33%.

I posti coperti da servizi a titolarità pubblica costituiscono il 51% del totale, a fronte del 49% nazionale. Il ruolo propulsivo del soggetto pubblico è quindi fondamentale rispetto ad una relativa carenza di offerta privata, ma la spesa pubblica media per utente destinata a nidi e sezione primavera è pari a soli 3.755 euro, a fronte dei 9.952 a livello nazionale e degli 8.607 del Sud. La Basilicata è anche una fra le poche regioni a non erogare nessun contributo diretto alle famiglie, nemmeno sotto forma di voucher. Tale intervento vale, a livello nazionale, circa 2.000 euro ad utente (addirittura 3.558 euro per utente nelle regioni del Sud). Secondo Istat, la Basilicata è quartultima regione italiana per spesa comunale pro capite e per valore del contributo dell’Inps.
Spesa per i servizi per l’infanzia per regione, anno 2021 Fonte: Istat – Abbiamo quindi, in Basilicata, un servizio per l’infanzia: A macchia di leopardo, che lascia vuote intere zone della regione.

Con una disponibilità di posti largamente insufficiente: Secondo gli ultimi dati dell’ISTAT relativi all’anno educativo 2021-2022, elaborati dalla CGIL, in Basilicata sono 2.433 i posti disponibili negli asili nido a fronte di 10.469 bambini da 0 a 2 anni, il 22 ,9%, mentre i posti disponibili nei servizi integrativi per la prima infanzia (asili nido, micro nidi o sezioni primavera, spazi gioco, centri bambini genitori, servizi educativi in contesto domiciliare), pubblici o privati, sono solo 83, lo 0,8%. Prevalentemente a guida pubblica, ma sottofinanziato gravemente. Si stima che le famiglie lucane spendano per il 24,4% del costo totale dei servizi, il secondo dato più alto d’Italia dopo il Molise. La Basilicata non riesce ad avere indici di presa in carico dignitosi, seppur leggermente migliori rispetto ad altre regioni del Sud.
Una regione imperniata sui nidi tradizionali. Nidi e sezioni primavera hanno 944 utenti iscritti nel 2021, mentre gli altri servizi di tipo integrativo, più economici e quindi dimensionabili alla scala dei piccoli Comuni della regione (spazi gioco, spazi genitori-bambini, servizi educativi in ambito familiare) non risultano aver alcun utente iscritto al 2021, mentre su base nazionale offrono circa 8.500 posti, che compensano parzialmente la carenza di offerta di nidi e sezioni primavera.

Tale situazione si riflette su tre specifici ambiti. Innanzitutto le minori capacità di apprendimento delle materie fondamentali e maggiori ritardi formativi. La letteratura scientifica indica come i primi 1000 giorni di vita del bambino siano quelli più determinanti per la sua crescita ottimale, intellettualmente ed in termini di assorbimento delle competenze. Come si vede dal grafico sottostante, la quota di studenti con inadeguatezze sull’alfabetizzazione, la padronanza dei numeri e l’inglese è superiore in Basilicata rispetto al resto del Paese.
Poi la percentuale studenti di scuola secondaria di primo grado con inadeguatezze di base. La Basilicata e servizi per l’infanzia con percentuali non adeguate su alfabetizzazione e sui numeri e in inglese .

Ritardi in termini di pari opportunità sul lavoro legati all’accudimento della prole, cioè all’assenza o insufficiente diffusione territoriale di servizi dedicati all’infanzia. Il tasso di occupazione femminile in Basilicata, pari al 39,9%, è lontanissimo da quello degli uomini (66,2%). Il tasso di inattività, che nasconde situazioni spesso di inattività involontaria dovuta ai carichi di lavoro domestici e di accudimento, è del 50% per le donne e del 41,5% per gli uomini. Al contempo, le donne che lavorano part time (spesso per conciliare casa e lavoro), con minor stipendio e minori possibilità di carriera, sono il 27% delle lavoratrici, a fronte del 9,1% per i maschi. La correlazione fra occupazione femminile e disponibilità di servizi per l’infanzia è riassunta nel grafico sottostante. La Basilicata è quartultima fra le regioni italiane sia per offerta di posti per bambini di 0-2 anni sia per tasso di occupazione femminile.

Correlazione fra posti disponibili per servizi dell’infanzia e tasso di occupazione femminile nelle regioni, anno 2021 – Si paga il continuo peggioramento del profilo anagrafico della regione. La Basilicata è già una regione anziana. L’indice di vecchiaia lucano è il 114% di quello nazionale, l’età media, pari a 47 anni, è superiore sia a quella meridionale (45,5 anni) che a quella nazionale (46,4 anni). La denatalità indotta dalla carenza di servizi per l’infanzia non farà altro che accentuare tale profilo. Il quoziente di natalità (nati per mille abitanti), infatti, è in forte calo, e nel 2022 scende al 6 per mille, l’89,7% della media italiana, in controtendenza rispetto al Meridione, che invece ha una propensione alla natalità migliore rispetto al Centro Nord.
Quoziente di natalità 2018-2022 passa da 6,000 a 6,200, a 6,400, a 6,600, a 6,800, a 7,000, a 7,200, a 7,400, 7,600 7,800.

Basilicata MEZZOGIORNO ITALIA- A fronte di tutto ciò, nel PNRR il tema dell’infanzia è stato posto come prioritario con la destinazione di 4,6 miliardi di euro al Piano per potenziare l’offerta in Italia di asili nido, scuole dell’infanzia e servizi educativi: un’occasione preziosa per rafforzare la rete di servizi, per ridurre i costi a carico delle famiglie e garantire a bambine e bambini un’offerta di qualità diffusa sul territorio.
Tuttavia nel documento del Governo con le Proposte di rimodulazione degli interventi del PNRR, l’incertezza sul raggiungimento degli obiettivi entro i termini appariva chiara sin da allora e adesso, purtroppo, trova conferma nella decisione della Commissione Europea di modifica del PNRR che si sostanzia nel forte ridimensionamento dell’obiettivo che da 264 mila nuovi posti in asili nido, scuola dell’infanzia e servizi di educazione e cura per la prima infanzia passa a 150 mila posti con un taglio molto consistente dell’offerta da attivare. Inoltre, anche la tempistica per il completamento degli investimenti e per l’attivazione dei nuovi posti, inizialmente prevista per la fine del 2025, viene prorogata di ulteriori 6 mesi.

All’interno di tale quadro, giunge il Decreto congiunto Mise/Mims di accertamento e riassegnazione delle economie complessive derivanti da rinunce , definanziamenti e non assegnazioni, relative alla Missione 4 – Istruzione e Ricerca, che definisce un nuovo Piano per la creazione di asili nido e servizi di educazione e cura della prima infanzia.
Tale Piano, per la Basilicata, crea circa 780 nuovi posti, a fronte di un fabbisogno stimato di poco meno di 8.000 posti. Si tratta cioè di un Piano che è di 10 volte inferiore a ciò che servirebbe per coprire l’intera popolazione fra 0 e 2 anni attualmente scoperta, e inferiore anche all’obiettivo di Barcellona del 33% di copertura, che richiederebbe 1.000 posti in più circa.

Il Piano sembra concentrarsi principalmente su aree come il Vulture Melfese, l’hinterland della città capoluogo di regione, il Marmo Platano, l’area di Lauria-Lagonegro e la collina materana, mentre altre zone gravemente scoperte, come il Serrapotamo, la Val d’Agri o il materano più interno appaiono più trascurate, aggravando quindi le disparità territoriali esistenti.
Anche se il Piano prevede che i Comuni più piccoli e disagiati in termini di utenza possono aggiungersi candidandosi ai fondi, tale possibilità è subordinata al vincolo di doversi presentare in associazione con altri Comuni con le stesse condizioni di disagio. E’ quindi evidente che, creando associazioni fra Comuni privi di servizi, anziché con Comuni capofila in grado di creare poli di servizio forti a favore dell’intera associazione, si generano soltanto ulteriori debolezze che si vanno a combinare fra loro. La soluzione adottata, quindi, non appare in grado di generare effetti di leva significativi.

E’ quindi evidente che la Basilicata stia perdendo l’ennesima occasione per dotarsi di un servizio all’altezza delle sfide che la attendono. Quello che la CGIL chiede è: «Un impegno finanziario pubblico nazionale pari ad almeno il doppio delle risorse del Piano Valditara. Occorre generare almeno 70.000 posti in più, dei quali altri 7.000 almeno in Basilicata. Al costo parametrico di 24.000 euro per ogni nuovo posto creato, occorre generare ulteriori 1,7 miliardi di risorse, dei quali 168 milioni per la sola Basilicata, per arrivare al nuovo obiettivo di Barcellona, pari al 45% di bambini di 0-2 anni serviti.

Occorre provvedere al costo di gestione dei posti creati, che include anche i nuovi educatori da assumere, i costi del servizio di mensa, di trasporto, ecc., mettendo a bilancio ulteriori 2 miliardi per la sola gestione. Occorre aiutare direttamente le famiglie meno abbienti economicamente prevedendo voucher per la scelta del servizio cui indirizzare i propri figli, con particolare priorità per le famiglie monoreddito a basso Isee e infine occorre incentivare i servizi integrativi e complementari (ad es le tate familiari, i servizi educativi domestici) nei piccolissimi Comuni della nostra regione dove la previsione di una struttura fissa è antieconomica e dove i costi e i tempi di trasporto verso una struttura in altro Comune limitrofo sono proibitivi per condizioni orografiche ed infrastrutturali».

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