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Un ufficio comunale

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POTENZA – Quante imprese sono in grado di sopravvivere quando in cassa mancano circa 2 milioni di euro? Poche prima del Covid. Ancora meno dopo quest’anno disastroso. Tra queste poche c’è la cooperativa “ProgettAmbiente”, che si occupa della gestione dei rifiuti in 21 Comuni lucani, con un numero di dipendenti che varia dai 250 ai 300.

«Ma riusciamo a resistere – spiega Loredana Durante, la presidente della cooperativa – solo perché abbiamo una certa “bancabilità”, abbiamo cioè il sostegno delle banche dal momento che siamo considerati un’impresa solida. Ma anche noi andiamo in sofferenza e, inoltre, paghiamo degli interessi su somme che ci vengono anticipate. E quelli nessuno poi ce li riconosce».

Cosa accade quando un ente pubblico non paga le aziende che forniscono un servizio o effettuano dei lavori? Accade troppo spesso che il limite dei 60 giorni per effettuare i pagamenti venga superato. Ma non di poco: «I ritardi vanno – spiega Durante – da un minimo di 3 mesi a 7/8 mesi. Ci sono poi i casi particolari. A Montescaglioso, per esempio, il Comune ha dichiarato il dissesto e noi aspettiamo da anni una cifra che si aggira sui 500.000 euro».

Una situazione diventata insostenibile dopo l’emergenza: «siamo tra l’incudine e il martello. Perché i Comuni ci pagano con mesi di ritardo ma se io sgarro anche di cinque giorni il pagamento degli stipendi, scatta la protesta sindacale. E lo capisco, chi lavora ha il diritto di essere pagato, ma io quelle somme le devo anticipare come impresa. E non posso neppure dire: non mi pagate, il servizio lo sospendo. Noi offriamo un servizio essenziale, per cui io potrei essere denunciata penalmente se lasciassi i rifiuti per strada».

Tra l’incudine e il martello ogni giorno, anche quando si deve decidere se pagare gli stipendi o i contributi: «Capita che tardi nel pagamento delle spettanze perché devo dare la priorità ai contributi. Se non ho quelli a posto rischio di non poter avere il Durc e allora ci ritroveremmo in una situazione anche peggiore, perché lì gli enti avrebbero un motivo per non pagare».

Una condizione di continua incertezza che di fatto vanifica poi anche eventuali ristori, prestiti, blocco dei mutui. Una situazione che va affrontata ogni giorno, «con spreco di risorse umane e tempo: nessuno immagina quanto tempo perdiamo in giro per uffici, aspettando che il funzionario di turno porti una liberatoria da una parte all’altra». Una questua continua per avere ciò che dovrebbe arrivare in automatico con un limite massimo di 60 giorni.

«Io lo so – continua Durante – che molti Comuni hanno anche poco personale, che ci sono delle difficoltà di tipo organizzativo, però c’è sicuramente una questione anche di mala gestione. E lo smart working è diventato una scusa: non è possibile andare in un ufficio e sentirsi rispondere che bisogna prendere un appuntamento perché i dipendenti lavorano da casa. Se lavorano, anche se da casa, il servizio dovrebbero offrirmelo comunque. Non può essere questa una scusa per fare meno di prima. La verità è che questa crisi ha messo in luce anche quanto sarebbe necessario svecchiare la pubblica amministrazione. C’è gente che non sa utilizzare le nuove tecnologie e forse anche strumenti obsoleti, la pubblica amministrazione è rimasta antiquata. Fatto sta che perché un pagamento venga accettato servono 4 o 5 passaggi burocratici e i tempi si allungano a dismisura così».

Un elemento che ritorna sempre: l’amministrazione pubblica incapace di correre con i tempi della realtà. Sembra quasi un mondo a sé, con tempi lunghi e inefficienze strutturali. E per poter correre e competere su mercati allargati, le aziende hanno bisogno di una radicale riforma di questo apparato burocratico dai tempi comodi.

«E’ verissimo – conferma Durante – che a inizio anno la situazione peggiora e i ritardi si accumulano. Questo perché le Ragionerie dei Comuni chiudono il 15 dicembre e riaprono intorno al 20 gennaio: ma quale azienda privata si concede questo lusso? Tra l’altro nel mese di dicembre, che è quello più oneroso per un’impresa, perché ci sono da pagare stipendi, tredicesime, contributi vari».

E questa è una cosa che la dice lunga sui binari diversi su cui devono correre pubblico e privato. Così se un’azienda deve pagare gli stipendi deve aspettare, gli uffici sono chiusi e se ne riparla a metà gennaio: «e noi siamo diventati le banche dei Comuni, ci esponiamo noi direttamente con gli istituti di credito». E se non si riesce a reggere? Si può correre il paradosso di andare in fallimento pur avanzando crediti importanti con gli enti.

Che poi – ed è questo che accresce il malcontento – ci sono due pesi e due misure: «se l’azienda tarda a pagare le sue tasse allora lo Stato ti fa pagare quelle cifre con gli interessi. Io azienda la stessa cosa non la posso fare, perché noi dobbiamo cercare di essere collaborativi per andare incontro alle difficoltà dei Comuni. Però dovrebbe essere così: non mi paghi entro sessanta giorni? Sei venuto meno a un contratto e ci sono degli oneri da pagare. Ma non lo facciamo mai».

La presidente della cooperativa “ProgettAmbiente”, proprio su questa situazione ha scritto al prefetto Annunziato Vardè, «perché davvero la situazione è diventata insostenibile. Noi stiamo effettuando a causa del Covid anche la raccolta dei rifiuti speciali. E’ una raccolta a parte, viaggi in più. Solo pochi Comuni hanno introdotto nei Bilanci una somma aggiuntiva, ma sostanzialmente ci siamo sobbarcati anche questo onere. Riconoscerci i pagamenti nei giusti tempi mi sembra allora il minimo indispensabile da chiedere. Anche perché io impresa avrei il diritto di spendere quelle somme per ampliare l’attività, per migliorare l’offerta di alcuni servizi. Ma come posso farlo? Così davvero non può svilupparsi un territorio.

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