28 maggio 2015: Marchionne, Renzi, Elkann e Delrio in visita allo stabilimento di Melfi
3 minuti per la letturaDalla visita di Renzi, Delrio, Marchionne ed Elkann ai “dazi” di Trump: così in un biennio è svanito un sogno
POTENZA – Quante cose – oltre al premier italiano e al presidente Usa – sono cambiate nei due anni esatti trascorsi tra la visita (in Jeep Renegade rossa fiammante) a Melfi di Renzi, Marchionne, Delrio ed Elkann e i “dazi” di Trump? Ora che lo stabilimento di San Nicola si avvia all’ennesimo ciclo di cassa integrazione per motivi di contrazione del mercato e il presidente degli Stati Uniti brandisce la clava del protezionismo che va a colpire proprio il mercato principale dei modelli Fca prodotti in Basilicata (quello nord-americano), l’ex Sata sembra aver imboccato definitivamente un tunnel in fondo al quale è difficile scorgere la luce.
Nell’ultimo anno, i cicli di cassa integrazione tra i dipendenti di Fca si sono susseguiti con cadenza implacabile. Il copione è stato sempre lo stesso, desolante: annuncio dell’azienda, commento (giustamente) allarmato dei sindacati e appello alla politica, spesso caduto nel vuoto. Ora è Carmine Vaccaro, numero uno della Uil lucana che in Fiat ha lavorato per dieci anni («Sono un socio fondatore – sorride amaro –, fui uno dei primi ad essere contrattualizzato»), a rinnovare la richiesta al governatore Pittella: «Invitiamo in Basilicata il ministro Calenda per dimostrargli che vincere la sfida è ancora possibile». Intanto, il prossimo 18 settembre sarà inaugurato il Campus di Melfi alla presenza di un altro ministro, quello per la Coesione territoriale e il Mezzogiorno, Claudio De Vincenti. Lo scenario sarà quello dell’orchestrina che suona sul Titanic, se si pensa che il taglio del nastro arriverà a chiusura di uno dei turni programmati per la Cigo (dalle ore 6 del 15 settembre alle ore 6 del 18, appunto).
Nell’attesa di una giornata dalle due facce, Vaccaro rivendica la lunghezza di vedute sulla flessione della produttività e sui rischi occupazionali in Fca: «È oltre un anno che sono molto preoccupato, e dallo stesso tempo ripeto che se si vuole tenere in vita Melfi, con tutto il suo indotto, si deve puntare sulla Jeep, rendendo lo stabilimento uno dei 5 nel mondo legato a quel marchio. Il futuro è strategico, oltre che occupazionale. Ci suole visione e coraggio, non bisogna continuare a maltrattare la nostra terra e soprattutto farlo per i nuovi assunti, quei giovani grazie al cui sudore sono cresciuti nel biennio passato i dati relativi al Pil e all’export della Basilicata, e a cascata dell’intero Mezzogiorno».
Con la Punto che ha risollevato la Fiat (contribuendo a rendere Melfi lo stabilimento più produttivo d’Europa) ma che ora – Cigo a parte – appare un modello decotto, il futuro può essere soprattutto l’ibrido, altra nota dolente dopo che la Basilicata è rimasta tagliata fuori a differenza dei poli d’innovazione di Abruzzo, Campania, Piemonte e Trentino.
Basterà il Campus a Melfi per uscire dal tunnel? «Spero che questa iniziativa serva a qualcosa, mi auguro che vada nella direzione dell’Industria 4.0, dell’ibrido, del design e delle macchine 3D. Quello che Obama definì “Fablab”». Sogno o utopia, nell’era Trump?
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