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LO spopolamento è la prima delle emergenze lucane, e per tentare di porvi un freno bisogna puntare sulla formazione di figure specializzate: per Francesco Somma, presidente di Confindustria Basilicata, solo creando competenze si potrà superare il «paradosso» – non solo lucano – dei tassi di disoccupazione alle stelle da un lato e delle aziende alla (vana) ricerca, dall’altro, di profili qualificati. Per Somma si deve guardare oltre le politiche assistenziali e, davanti allo stallo dei Centri per l’Impiego, si deve pensare a coinvolgere le agenzie private.


In un lungo colloquio con il nostro giornale, il presidente degli industriali lucani non manca di disegnare la propria idea di ripresa (l’idrogeno può essere un modo per produrre sviluppo in coppia con la Puglia, puntando sulla transizione energetica e magari su un reale impatto delle Zes), senza tralasciare qualche critica alla Regione («nonostante la nostra contrarietà, ha tirato dritto sulla legge in materia di produzione energetica da fonti rinnovabili che è in contrasto con le indicazioni del Pnrr») e ai Comuni che, sull’impiego delle royalties come sulla spesa, hanno mostrato più di una falla.


Presidente Somma, le ultime anticipazioni Svimez dimostrano che siamo ancora lontani da uno scenario diverso dalle famose “due Italie”: in quest’ottica come vede il futuro della Basilicata?
«Le previsioni Svimez confermano purtroppo uno scenario in parte prevedibile. Nell’orizzonte di breve termine si intravede ancora troppo poco in termini di ricadute concrete volte a ridurre il divario di sviluppo tra Nord al Sud del Paese. La ripartenza che si va consolidando in maniera sempre più sostenuta fa ancora i conti con le fragilità strutturali delle economie delle regioni meridionali. La Basilicata non fa eccezione. Anzi. A preoccupare delle recenti previsioni Svimez non è solo la distanza tra le due Italie ma soprattutto la stima, per la nostra regione, di una crescita ancora più lenta rispetto alla media del Sud. Chiaramente, quello che accadrà nei prossimi mesi rimane ancora fortemente condizionato dall’andamento della pandemia, come del resto ha già confermato la frenata della produzione industriale nel mese di luglio, per l’incertezza dovuta al nuovo aumento dei contagi e a causa del concomitante fenomeno del caro materie prime. Al contempo, però, è necessario intervenire per invertire la tendenza e ricucire le distanze attraverso una programmazione strategica in grado di intercettare le principali traiettorie di sviluppo e incanalarle all’interno di un piano sistemico di politiche coerenti che valorizzi il ruolo del Sud nel Mediterraneo. Come Confindustria stiamo lavorando proprio in questa direzione. Abbiamo messo a punto un documento che raccoglie il contributo di tutte le Associazioni regionali del Mezzogiorno e prova a elaborare politiche e misure volte a valorizzare l’economia del mare anche attraverso la piena implementazione delle Zone economiche speciali».


Ecco il primo dei nodi più intricati, non solo per la Basilicata…
«Le Zes rappresentano uno strumento straordinario per il consolidamento e l’attrazione di investimenti e la posizione baricentrica di cui gode la Basilicata all’interno del quadrilatero continentale delle Zes meridionali le assegna un ruolo cruciale. Su questo fronte, negli ultimi mesi ci sono stati alcuni passi in avanti, ma bisogna accelerare ulteriormente. Solo quando avremo nuove localizzazioni produttive nelle nostre aree industriali – anche di industriali esteri interessati alla retroportualità, ai vantaggi della zona franca doganale e alle vere semplificazioni – potremo dire che le Zes saranno realmente partite. Tenga conto che il Piano nazionale di ripresa e resilienza assegna 630 milioni di euro per investimenti infrastrutturali volti ad assicurare un adeguato sviluppo dei collegamenti delle aree Zes con la rete nazionale dei trasporti. A questi vanno aggiunti 1,2 miliardi di euro che il Pnrr riserva a interventi sui principali porti del Mezzogiorno».


Quali idee mette in campo Confindustria, al proposito?
«L’obiettivo di Confindustria è presentare un piano strategico per fare del Sud un sistema unitario di promozione dello sviluppo, utilizzando come perno l’economia del mare per esaltare il suo ruolo all’interno del Mediterraneo e farne un secondo motore di sviluppo del Paese. Proprio in questi giorni si stanno insediando i tavoli di lavoro macro-tematici per entrare nel merito delle proposte. Occorre uno scatto di reni. Rispetto al passato c’è stata una svolta che ritengo cruciale. Mai come in questo momento è chiaro a tutti che il ritardo di sviluppo del Mezzogiorno non è solo un problema del Mezzogiorno. Se il Sud non riuscirà a sostenere adeguati ritmi di crescita, a pagarne le conseguenze sarà tutta l’Europa. Ma fare affidamento sulla disponibilità di ingenti risorse non basta. Prima ancora che i soldi occorrono le riforme, per velocizzare e semplificare il funzionamento della “macchina”. Sono questi i presupposti per uno sviluppo duraturo, che vada ben oltre l’orizzonte del 2026. All’interno di questo quadro complessivo la Basilicata potrà guadagnare un ruolo di tutto rispetto. La nostra regione ha già dimostrato di poter emergere tra le regioni del Mezzogiorno più virtuose. Occorre ripartire dalle nostre specializzazioni produttive, spingerne l’evoluzione attraverso i grandi driver di sviluppo, perseguendo una crescita inspirata a un modello di sviluppo che sia caratterizzato da maggiore coesione territoriale, inclusione di genere e generazionale».


Lei ha appena parlato di prospettive almeno quinquennali: la programmazione di una Regione passa anche dal corretto utilizzo degli strumenti a sostegno dell’occupazione, e al proposito – anche alla luce dei ripetuti appelli degli industriali lucani sulla mancanza di manodopera specializzata – come giudica lo stallo dei Centri per l’impiego?
«Il Piano nazionale di ripresa e resilienza mobilita quattro miliardi di euro per introdurre un sistema di politiche attive e per aiutare chi ha perso il lavoro a trovarne un altro. E’ sotto gli occhi di tutti che i centri per l’impiego pubblici non hanno dato grande prova di efficienza ed efficacia. Tra i punti qualificanti della proposta per la riforma degli ammortizzatori, proposta da Confindustria al Governo già un anno fa, c’è anche quella di aprire alla collaborazione con le agenzie private per il lavoro, attraverso accordi sul territorio che per un servizio più orientato alla persona, puntando al reale reinserimento, grazie a una conoscenza più diretta della domanda di lavoro. Altro passaggio cruciale ci sembra quello di vincolare l’erogazione della Naspi all’aggiornamento delle competenze, necessario alla ricollocazione. Il mondo del lavoro è profondamente cambiato e la nuova riforma non potrà prescindere dalla introduzione di maggiore flessibilità e da un riequilibrio della spesa a favore delle politiche attive. A questo si aggiunge la presa d’atto rispetto ai limiti del reddito di cittadinanza: sicuramente utile quale strumento di sostegno, soprattutto nella fase di emergenza sociale, ma poco proficuo nella parte relativa alle politiche attive. Assicurare un sostegno al reddito a chi perde l’occupazione è fondamentale. L’obiettivo, però, deve essere favorirne il reinserimento lavorativo. Ma il tema che lei poneva nella parte iniziale della sua domanda è molto più complesso e attiene soprattutto alla programmazione regionale. E’ paradossale la situazione che vivono molte imprese che non riescono a trovare i profili ricercati. Il problema non riguarda solo la Basilicata, ma chiaramente diventa ancora più grave in una regione con un elevato indice di disoccupazione come la nostra. I mutamenti sempre più veloci indotti dalla pandemia hanno investito anche la domanda di competenze. Dobbiamo prepararci oggi per farci trovare pronti e prevenire gli errori del passato. E questo riusciamo a farlo solo attraverso un pieno coinvolgimento dell’impresa, che non è solo il terminare finale, bensì un soggetto autorevole da coinvolgere in tutto il processo formativo. Su questo, abbiamo aperto un proficuo dialogo con l’Università di Basilicata. Stiamo fortemente spingendo per l’attivazione dell’ITS della meccatronica in considerazione del rilevante peso del comparto automotive sull’economia regionale e della forte spinta innovativa che sta attraversando il settore. Registriamo positivamente l’interessamento da parte della Regione. Riteniamo poi fondamentale avviare percorsi di formazione on the job per la collocazione di lavoratori del posto in settori chiave quello dell’Oil&Gas. Come sa bene le imprese del settore sono spesso accusate di non produrre ricadute occupazionali sui settori in cui operano. E’ altrettanto vero, però, che spesso mancano i profili ricercati caratterizzati da alta specializzazione. Percorsi di affiancamento della manodopera locale a lavoratori esperti ci sembrano pertanto particolarmente utili».


A proposito di automotive, la Stellantis è un caso esemplare di come l’emergenza pandemica rischi di dare il colpo di grazia dopo una fase di crisi iniziata già prima del 2020: cosa pensa delle prospettive del settore in Basilicata?
«Mi lasci dire che la crisi pandemica ci ha innanzitutto confermato una consapevolezza: il plant di Melfi è il fiore all’occhiello dei siti produttivi italiani ed è quello che in larghissima parte trainato la ripartenza di Fca anche nell’anno nero della pandemia. Non è certo un caso che sia partita proprio da qui la strategia di Tavares per conquistare il cuore dei mercati europei, con i nuovi investimenti annunciati per il 2024. Abbiamo fortemente sperato di poter coronare questo risultato con la scelta di localizzare a Melfi la gigafactory di batterie al litio per la produzione dei veicoli elettrici. Un sogno sfumato a favore dello stabilimento di Termoli che però è un tassello fondamentale di quel piano di sviluppo sistemico e integrato per una nuova industrializzazione sostenibile al Mezzogiorno. Le questioni, a mio avviso, ora sono ora due: come arriviamo al 2024 e, soprattutto, come mettiamo in sicurezza il nostro prezioso indotto che ha già dimostrato di poter sostenere le sfide più complesse. Bisogna aprire subito un confronto con i fornitori di primo e secondo livello sulle prospettive legate ai nuovi business. Occorre accompagnare le nostre imprese dell’indotto aiutandole a sostenere investimenti in qualità, ricerca e innovazione. E’ poi necessario fornire risposte importanti anche in termini di dotazione infrastrutturale, materiale e immateriale. Complessivamente va aumentata la competitività del territorio, partendo anche dalle questioni che potrebbero apparire più spicciole ma che al contrario rappresentano ancora dei gravi problemi, come la manutenzione delle aree industriali».


Un secondo asset strategico nella produttività e nell’export lucani è rappresentato dal petrolio: esiste secondo lei un futuro oltre le estrazioni?
«Certo che deve esistere un futuro dopo le estrazioni e, anzi aggiungo, che in parte è già esistente. Il comparto energetico rappresenta il 12 per cento del Pil lucano e non è composto solo dall’Oil&Gas. La transizione ecologica è la naturale evoluzione delle nostre specializzazioni produttive nel settore delle energie. In questi anni, anche grazie alla presenza dei principali big players del comparto sul territorio, abbiamo creato un tessuto produttivo altamente specializzato e fortemente competitivo sui mercati internazionali. Dobbiamo ora capitalizzare questo grande patrimonio di partenza. Siamo stati tra i primi a sollecitare una strategia regionale per l’idrogeno, in considerazione delle caratteristiche ottimali che la nostra regione presenta e che potrebbero essere ulteriormente valorizzate in un’ottica di sinergia con la vicina Puglia, per l’hydrogen valley appulo-lucana. In particolare la Valbasento, dotata di cavità naturali e pozzi esausti può vedere un naturale collegamento con il distretto industriale di Brindisi e di Taranto, creando una filiera dell’idrogeno che utilizzi anche le potenzialità delle fonti rinnovabili installate e da installare sull’intera area vasta, sino al Vulture Melfese e alla Daunia, per l’idrogeno verde. E questa è solo una parte del discorso. C’è poi la straordinaria dotazione di biomasse di cui gode la regione. La Basilicata vanta già una rilevante produzione da fonti rinnovabili che ora il Pnrr punta a implementare ulteriormente per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Accanto all’incremento della quota di energia da fonti rinnovabili e il potenziamento e la digitalizzazione delle infrastrutture, il Piano, nelle Missione 2, assume come necessari i provvedimenti di semplificazione burocratica delle procedure autorizzative. Ma purtroppo quello che sta accadendo in Basilicata va nella direzione esattamente opposta. Pur condividendo gli stessi obiettivi di decarbonizzazione, la Regione ha dato il via libera a un provvedimento in materia di produzione energetica da fonti rinnovabili che è in contrasto con le chiare indicazioni che arrivano dal Pnrr e che invece di semplificare introducono incomprensibili ostacoli agli investimenti. Nel corso dell’iter di approvazione della legge abbiamo espresso la nostra contrarietà ma la Regione ha preferito tirar dritto. Bisogna essere estremamente franchi: la transizione non è breve né a costo zero, e avrà anche costi sociali, ma è l’unica direzione possibile e non può conoscere ostacoli. Di certo, saremo ancora impegnati nei prossimi anni per la massimizzazione delle ricadute sul territorio derivanti dell’industria estrattiva che è stata, è e sarà un patrimonio prezioso per la nostra economia e i cui proventi vanno ora sempre più indirizzati verso investimenti non oil. I contratti di sviluppo a valenza regionale annunciati dalla Regione Basilicata da finanziare con parte dalle entrate rivenienti dalle compagnie petrolifere hanno suscitato grandissimo interesse da parte delle nostre imprese che sono pronte a investire nonostante le oggettive difficoltà del momento. E’ necessario accelerare le procedure per metterle nelle condizioni di realizzare gli investimenti prima che il contesto di riferimento sia completamente modificato».


Strettamente connessa all’economia è anche un’altra emergenza lucana: lo spopolamento. C’è una via d’uscita a una tendenza che rischia di cancellare la Basilicata, visto anche l’alto tasso di invecchiamento della popolazione?
«Direi che questa rappresenta l’emergenza in assoluto. I numeri, come sappiamo, sono drammatici. Il lavoro è chiaramente la prima tra le priorità. Asset strategici come il turismo, la cultura e tutto quanto è legato alla valorizzazione del territorio e al ricco patrimonio paesaggistico sono sicuramente bacini di grandi opportunità. Ma ritengo che non ci sia un futuro senza nuovi investimenti in industria sostenibile che da troppo tempo mancano in questa regione. Il Recovery Plan ci indica chiaramente le direzioni da imboccare e tra queste soprattutto transizione ecologica e digitalizzazione. Ma come dicevamo prima occorre puntare anche su un sistema formativo che trasferisca le competenze adeguate per profili più qualificati e specializzati. Chi studia in Basilicata deve avere l’opportunità di poter realizzare le proprie ambizioni professionali e di vita. La cosiddetta “fuga dei cervelli” ha costi elevati non solo sociali e culturali ma anche economici: la spesa sostenuta per la formazione dei giovani lucani non genera ritorni sul territorio per il valore del lavoro realizzato altrove. Ma il problema della Basilicata non è solo la scarsa capacità di trattenere i propri ragazzi ma anche il non riuscire ad attrarre risorse esogene. A limitare fortemente la qualità della vita c’è sicuramente il deficit di diritti di cittadinanza che attanaglia tutto il Mezzogiorno. Il primo fattore è sicuramente determinato dal pesante gap infrastrutturale, ancora più grave nella nostra regione, per via della conformazione orografica e della scarsa densità demografica. E’ necessario rafforzare le arterie di collegamento alle linee dell’alta velocità ferroviaria e della viabilità primaria. Scontiamo, poi, gravi carenze anche in termini di infrastrutture sociali quali asili di nido, strutture adeguate per gli anziani e le disabilità. Lacune emerse in maniera molto evidente nei mesi dell’emergenza pandemica. E che anche in questo caso generano un rilevante impatto socioeconomico a sfavore soprattutto delle potenziali lavoratrici chiamate, nella maggior parte dei casi, a farsene carico. Il Pnrr assicura una buona dotazione finanziaria al capitolo delle infrastrutture sociali. Ci auguriamo che possano arrivare buone risposte anche per il nostro territorio. Continuo a ritenere che per il rilancio economico dei nostri piccoli centri sia rilevante il peso del comparto edile che ha il più potente effetto moltiplicatore degli investimenti e che dovrà conoscere un significativo rilancio anche attraverso il Superbonus. Pesa su un vero rilancio del settore l’impennata dei prezzi delle materie prime, ormai alle stelle, che frena anche la crescita di altri comparti, come il Mobile Imbottito. E’ importante che il recente provvedimento adottato dal Governo produca presto i suoi effetti. E poi c’è da considerare che la transizione ecologica a cui il Pnrr assegna la maggiore dotazione di risorse va intesa anche con una anche connotazione di tipo ecologico-ambientale, in cui sono compresi, a esempio, gli interventi di contrasto al dissesto idrogeologico, soprattutto in ottica di prevenzione dai rischi, e di miglioramento delle performance del servizio integrato (attraverso la riduzione delle perdite di rete), con ricadute dirette a vantaggio della popolazione lucana e delle imprese regionali dell’industria delle costruzioni».


La ripresa passa anche dalle misure di sostegno legate all’emergenza Covid: crede che i fondi previsti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza rappresentino anche la Basilicata un’opportunità di rilancio?
«Certo che sì, a patto di saper intercettare le principali traiettorie di sviluppo attraverso una programmazione credibile. Transizione ecologica e digitale sono i due grandi paradigmi attraverso i quali spingere l’ammodernamento di tutto l’apparato produttivo. Abbiamo accennato in precedenza alle sfide che attendono due comparti strategici per la nostra economia come automotive ed energia, ma non solo. Basti pensare a quello che può rappresentare l’applicazione delle smart technologies all’agroalimentare di qualità, solo per citare un esempio. Sul digitale abbiamo molto da recuperare, in tutti i settori, e questo significa che possono liberarsi importanti occasioni di crescita, anche occupazionale. Ma anche in questo caso diventa fondamentale orientare la formazione dei nostri ragazzi verso percorsi che consentano l’acquisizione di competenze altamente specializzate particolarmente richiesta dal mercato del lavoro. Complessivamente, come accennavo in premessa, non è solo un problema di cosa facciamo ma anche di come lo facciamo. Soprattutto gli interventi da realizzare con il Piano nazionale di ripresa e resilienza non dovranno essere sostitutivi di quelli già finanziati da fondi nazionali ed europei. Molto è legato alle concrete ricadute delle riforme da realizzare, a partire da quella della pubblica amministrazione, ma al contempo sarà necessario supportare gli enti locali attuatori per migliorarne la capacità amministrativa. Si pensi a esempio alle difficoltà che alcuni comuni hanno avuto nella gestione delle royalty del petrolio o ancora i ritardi di spesa sulle precedenti programmazioni europee. Occorre un approccio in netta discontinuità con gli errori del passato. Per questo, a nostro avviso, va valutata attentamente la costituzione di centri di competenza territoriale, formati da specialisti nella progettazione e attuazione delle politiche di sviluppo, anche in raccordo con gli attori dello sviluppo presenti nel territorio, in grado di supportare le amministrazioni locali».


Le aziende lucane pagano secondo lei qualche ritardo nel credito?
«La tipologia predominante di impresa in Basilicata, dalle dimensioni medio piccole e scarsamente patrimonializzata sicuramente rende più complicato l’accesso al credito. Fortunatamente non è un problema che abbiamo vissuto in questo anno, grazie agli strumenti finanziari straordinari messi in campo con vari provvedimenti e recentemente prorogati per fronteggiare la crisi economica indotta dalla pandemia. Lo dimostra il vero e proprio boom di ricorso ai prestiti che c’è stato anche in Basilicata grazie ai finanziamenti garantiti dallo Stato, al netto di alcune incertezze iniziali dovute alla rigidità del sistema, poi, per fortuna, superate. Interventi che si sono rivelati fondamentali nel determinare la capacità di resilienza delle nostre imprese in questo anno di fortissima sofferenza. Siamo però molto preoccupati dall’adozione delle nuove regole europee sugli sconfinamenti e sulle esposizioni scadute che risultano eccessivamente restrittive, in quanto implicano il passaggio a default anche per somme davvero irrisorie. Su questo chiediamo un intervento immediato e risolutivo a livello EU».


A che punto è il dialogo tra Regione, imprenditori e sindacati? C’è lo spazio per un’azione comune e sinergica che – al netto delle differenze e delle posizioni politiche – permetta alla Basilicata di avere dei margini di crescita per tutta la popolazione lucana?
«La portata e la complessità della sfida per la nuova programmazione strategica rende necessaria l’ampia concertazione. Io credo su questo ci sia ampia e diffusa consapevolezza e non mancano neanche gli spazi adeguati. Ma come sempre il problema si crea quando dalle parole occorre passare ai fatti. Ad oggi registriamo positive aperture rispetto a questo metodo su alcuni tavoli specifici, come la plenaria dell’energia. Ma non è più rinviabile il confronto sul Piano Strategico regionale che dovrebbe essere il libro sacro della Basilicata dei prossimi mesi. La Regione ha affidato ad alcuni consulenti una prima stesura del testo che ha certamente tenuto conto dei contributi assicurati da Confindustria e da tutte le parti sociali. Siamo però ancora in attesa di capire cosa c’è dentro e di iniziare un confronto, leale e responsabile, su come contemperare tutti i legittimi interessi in ballo per assicurare un futuro di prosperità alla Basilicata e ridare fiducia ai lucani, in particolare ai giovani con i quali abbiamo un grosso debito morale. Il lavoro non è certo facile. Le divergenze non mancano. Ma le differenze sono fonte di ricchezza quando non diventano barriere ideologiche. A volte registriamo chiusure preventive, sia a livello nazionale che locale, come quella dei sindacati rispetto alla proposta di Confindustria di valutare le forme per estendere l’utilizzo del green pass anche nei luoghi di lavoro che, a nostro avviso, deve essere oggetto di uno specifico provvedimento legislativo. Quando prevalgono gli atteggiamenti pregiudiziali non è mai un bene per nessuno. Qualche volta accade ma tante altre volte no. In nessun luogo come in Basilicata le organizzazioni datoriali e i sindacati, già in passato, hanno saputo dare grande prova di concertazione, in nome di un predominante interesse collettivo. E’ accaduto ultimamente anche in occasione del rinnovo del Patto di Sito Eni e con le stesso spirito stiamo lavorando all’Addendum al protocollo Total. A livello nazionale, Confindustria e sindacati hanno dato una straordinaria prova di unità di intenti in occasione della definizione dei protocolli anti Covid per la sicurezza nei luoghi di lavoro. Possiamo essere divisi sul modo ma non sugli obiettivi, soprattutto se in ballo c’è il benessere di tutti».

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