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POTENZA – L’intenzione è quella di sfatare una notizia che viene data ogni giorno in maniera martellante e che sembra sempre puntare il dito in un’unica direzione: «Il trasporto pubblico non è una delle cause di contagio. Non è assolutamente pericoloso viaggiare sui bus. E non siamo noi a dirlo, ma autorevoli studi scientifici».
Adolfo Caldarelli, amministratore delegato delle Autolinee Liscio e presidente della sezione Logistica e Trasporti di Confindustria Basilicata, non parla senza aver studiato l’argomento. Fa riferimento a uno studio redatto da Giorgio Buonanno, docente di Fisica all’Università degli studi di Cassino. Ma c’è anche una controprova: «Se fosse vero che i mezzi di trasporto pubblico sono un veicolo di contagio noi avremmo dovuto avere diversi focolai di Covid tra gli autisti. E invece non è successo: nessuna delle ditte di trasporto si è dovuta fermare perché c’erano tanti casi e bisognava mettersi in quarantena. Che per noi sarebbe un ulteriore grave problema, considerato che siamo servizio essenziale. Ma non è successo. C’è stato qualche autista contagiato, certo. Ma in ambito domestico, non sul posto di lavoro».
Cosa si legge nello studio? Informazioni che ormai fanno parte della nostra quotidianità: il rischio di contagio, in un qualsiasi ambiente chiuso, aumenta quando non c’è ventilazione, se si permane nello stesso luogo per molto tempo e se non si indossano i dispositivi di sicurezza. Il contagio da contatto (toccare per esempio una maniglia usata da una persona positiva) è un fenomeno piuttosto raro: 1 caso ogni 10.000 persone.
«In una classe – spiega Caldarelli – con finestre e porte chiuse, l’aria tende a saturare e, soprattutto se non si indossano i dispositivi di sicurezza, il rischio aumenta. Anche perché i ragazzi in classe ci restano diverse ore. Ed è quello che probabilmente è accaduto a ottobre, quando si diceva che in classe, se ognuno restava al suo posto, ci si poteva abbassare la mascherina. Ma nei bus questa situazione non si viene a creare».
Con i protocolli di sicurezza introdotti lo scorso anno, infatti, si sono prese tutte una serie di precauzioni: «Sui bus ci sono le botole aperte, la ventilazione forzata, le ventole aperte: il ricambio d’aria è continuo». E questo è il primo punto.
Ma poi «specialmente per il trasporto scolastico i tragitti non sono mai eccessivamente lunghi. Il percorso più lungo può essere Senise-Potenza, circa un’ora e mezza, ma il tempo che si trascorre sul bus è in media di mezzora. Quindi non si resta a lungo nello stesso posto, l’ambiente – se anche non ci fosse ventilazione ma così non è – non può saturarsi. A differenza poi di quanto accade nei ristoranti, dove per mangiare o chiacchierare seduti ci si toglie la mascherina, sui bus nessuno può togliersi la mascherina, i dispositivi sono sempre indossati. E, a quanto mi dicono gli autisti, non c’è tutto questo chiacchierare. La mattina gli studenti che dai paesi devono raggiungere i capoluoghi sonnecchiano, ascoltano musica: non c’è tutta questa convivialità».
Non dovunque è così, certo. Nelle grandi città, dove ci sono metropolitane e treni per i pendolari, queste condizioni non ci sono. «Ma lì – continua Caldarelli – non c’è neppure il controllo in entrata e non c’è il numero massimo di passeggeri. Noi, invece, abbiamo gli autisti che devono far rispettare precisamente le regole, anche perché anche loro sono passibili di sanzioni. E del resto c’è un controllo continuo e frequente delle Forze dell’ordine».
E bisogna far chiarezza anche sui numeri: «C’è l’obbligo – continua Caldarelli – di non superare il 50% dei posti previsti dal libretto di circolazione. Ma si intendono sia i posti a sedere che quelli in piedi. Per fare un esempio: su un bus di 12 metri sono previsti 53 posti a sedere e 10 in piedi. Significa che sul bus devono esserci massimo 31 persone. E le norme vengono rispettate tassativamente».
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