L’arcivescovo di Torino Roberto Repole
5 minuti per la letturaSua eminenza Repole, lucano originario di Rapone, ora ricopre l’incarico di arcivescovo di Torino ed è tra i nuovi cardinali scelti da Bergoglio
POTENZA – È originario del Paese delle Fiabe l’arcivescovo di Torino Roberto Repole, lucano che papa Francesco Bergoglio ha scelto come uno dei cardinali che riceveranno la nomina.
Repole, figlio di un lucano di Rapone (Pz), è fra i 21 vescovi scelti dal pontefice e citati domenica all’Angelus in piazza San Pietro. Tutti destinati a ricevere la berretta rossa l’8 dicembre.
Alla notizia del vescovo lucano tra i cardinali scelti da Bergoglio, esprime giubilo la sindaca di Rapone, Felicetta Lorenzo, che già aveva manifestato la sua grande soddisfazione per la nomina a sindaco del capoluogo piemontese, due anni fa: «Siamo felicissimi – dice – Lo conosciamo perché è capitato più di qualche volta che sia venuto qui a Rapone e sia rimasto con noi. Per la processione di San Vito, il nostro patrono, anni fa ha anche concelebrato la messa. Ne siamo molto fieri. Una persona che assurge a questa levatura ci fa ben sperare che possa supportarci con le sue preghiere».
Nei prossimi giorni l’amministratrice contatterà il prelato: «L’avevamo già invitato, lo inviterò di nuovo sperando possa venire per le nostre feste. Per noi sarebbe un grande onore».
Dopo aver consultato una delle “memorie storiche” di Rapone, la sindaca racconta qualcosa della famiglia Repole: «La madre Concetta Mancuso è nata nel 1938 a Corleone, in provincia di Palermo. Il padre, Vito, classe 1939, è nato invece proprio qui a Rapone, in una famiglia di sei figli. Emigrò a Torino alla fine degli anni Cinquanta per andare a lavorare come piastrellista. Oltre a Roberto, i due hanno avuto anche un altro figlio, Maurizio, attivo in tutt’altro campo. Vito e Concetta sono ancora vivi. Prima venivano spesso qui a Rapone. Da quando non c’è più il padre di Vito, nonno di Roberto, di meno».
La famiglia di Repole è fra quelle decisamente integrate in terra piemontese: negli anni Ottanta il padre Vito è stato assessore all’Agricoltura nel comune di Druento, novemila abitanti in provincia di Torino. «E per una decina d’anni», aggiunge Lorenzo.
Roberto Repole è nato a Torino il 29 gennaio del 1967. Si è diplomato al liceo Valsalice e, dopo il baccalaureato a Torino, ha conseguito la licenza e il dottorato in Teologia sistematica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma.
Per la preparazione teologica gode di ottima fama. Ha insegnato tra l’altro alla Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale – sezione di Torino e all’Istituto superiore di scienze religiose.
È stato presidente dell’Associazione teologica italiana dal 2011 al 2019. Sarebbe difficile elencare qui tutte le cariche – di caratura nazionale – rivestite nella chiesa. Corposa la lista di pubblicazioni: molti libri (fra i tanti, una delle prime analisi del pontificato di Josè Bergoglio, “Il dolce stil novo di papa Francesco” firmato con Maurizio Gronchi nel 2015), tantissimi articoli, contributi, saggi.
Ma la dimensione dottrinale del porporato in pectore non deve trarre in inganno. Non si tratta della canonica figura dello studioso di teologia chiuso nella sua torre d’avorio, avulso dal mondo, lontano le mille miglia dai problemi delle persone comuni. E forse un primo indizio dell’altra attitudine di Roberto Repole – la sua dimensione sociale – era già contenuta nel campo scelto per il biennio di specializzazione alla Gregoriana: “Antropologia nelle sue dimensioni sociali”. Non solo l’esegesi delle fonti bibliche, ma anche lo scandaglio nei meandri della società per comprendere cosa sia la dignità umana.
La sua azione da vescovo si è calata all’interno della realtà industriale e lavorativa del territorio di competenza.
Il 4 dicembre del 2023 riceve in arcivescovado le rappresentanze sindacali dei lavoratori della Lear di Grugliasco: 260 persone a rischio licenziamento a causa della crisi produttiva dell’azienda, fornitrice di Stellantis. E non usa frasi generiche, tutt’altro: «Torino sente il bisogno di parole chiare sui progetti del gruppo automobilistico: credo che sia giusto chiederle. Cosa significa la campagna di prepensionamenti, la chiusura della sede di Grugliasco (Maserati), la cassa integrazione nelle linee di Mirafiori? Poco inciderà, in termini di occupazione, l’apertura del nuovo hub per il riciclo delle vecchie auto. Per questo mi rivolgo con fiducia ai responsabili di Stellantis, perché partecipino alla vicenda di Torino offrendo innanzi tutto un chiarimento sui loro progetti: rilancio o ridimensionamento?». Termini precisi, richieste puntuali, nomi esatti, piglio da sindacalista.
Un mese fa, poi, partecipa – primo vescovo a farlo – alla Festa della Fiom Cgil, incontra i lavoratori nella città-fabbrica per eccellenza, mentre a Mirafiori si allungano le ombre del crepuscolo produttivo. D’altronde, dichiara (così come riporta il Corsera), «la Chiesa va nel mondo, deve esserci sempre dove c’è sofferenza e chi è in cassa integrazione soffre». Anzi, dice proprio «cig».
Sul palco, al microfono, non usa perifrasi: «Ci sono stati segnali positivi come l’annuncio dell’assunzioni di giovani. Ma poi registro segnali contrastanti. Dobbiamo sentirci tutti responsabili del futuro di questa città. Non ci tireremo indietro se i lavoratori torneranno in piazza».
E siccome fare nomi e cognomi è in linea con il Vangelo secondo Matteo – “Sia il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno” – Repole si rivolge dal palco all’amministratore delegato di Stellantis: «A Tavares oggi direi: il progresso non è solo il profitto o la crescita del Pil. E lo sviluppo economico non deve essere mai a detrimento della dignità delle persone. Al centro deve tornare la persona».
Un discorso che potrebbe andare bene – altro punto di contatto sulla linea Torino-Rapone – anche per la Stellantis di San Nicola di Melfi.
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