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POTENZA – L’Istituto superiore di sanità non ha condotto ricerche «per identificare specifiche sostanze inquinanti» nell’invaso del Pertusillo, bensì su un metodo «di monitoraggio dello stato di salute di specchi d’acqua non estesi». Non è corretto, quindi, affermare che in uno dei suoi ultimi studi abbia accertato l’esistenza di una contaminazione, a febbraio del 2017, provocata da una perdita di petrolio come quella scoperta, proprio in quel periodo, nel Centro olio dell’Eni di Viggiano. Un paio di chilometri più a monte.
E’ quanto dichiarato al Quotidiano, in una nota, dall’Istituto superiore di sanità, a proposito di un recente articolo scientifico pubblicato sulla rivista “Remote Sensing”. Articolo che secondo alcune interpretazioni avrebbe dimostrato l’esistenza di una contaminazione da petrolio dell’invaso che fornisce di acqua potabile buona parte della Puglia e della Basilicata. A causa delle attività petrolifere svolte sulle sue sponde.
«Lo studio dell’Istituto Superiore di Sanità in collaborazione con la Scuola di Ingegneria Aerospaziale dell’Università “La Sapienza” di Roma e del Dipartimento irlandese di Food Biosciences del Teagasc,pubblicato su ‘Remote Sensing’ è un “proof of concept”».
Così al nota dell’Iss, che prosegue spiegando che il risultato del lavoro: «suggerisce la possibilità di utilizzo delle elaborazioni algoritmiche delle immagini dei satelliti per il monitoraggio dello stato di salute di specchi d’acqua non estesi. La ricerca non è stata condotta per identificare specifiche sostanze inquinanti ma i risultati della prova incoraggiano l’uso della metodica in supporto ai metodi tradizionali per la descrizione di contaminazioni complesse in diversi ecosistemi».
Sul “caso”, nei giorni scorsi, il Quotidiano aveva sentito anche Eni, dal momento che nell’articolo si fa riferimento esplicito all’ «oil spill», la perdita di greggio, come origine dei fenomeni osservati.
«In relazione alla pubblicazione dello studio “Remote Sensing Detection of Algal Blooms in a Lake Impacted by Petroleum Hydrocarbons”, Eni precisa che la fuoriuscita di greggio del febbraio 2017 non ha interessato le acque del Lago Pertusillo». Così la compagnia petrolifera. «Questo a fronte del complesso delle indagini ambientali condotte da Eni, anche in contraddittorio con gli Enti competenti. Immediatamente dopo la scoperta della fuoriuscita del febbraio 2017, Eni, come previsto dalla legislazione ambientale vigente, ha presentato alle autorità e realizzato un piano di interventi per la messa in sicurezza delle aree potenzialmente interessate (MISE) dalla presenza di idrocarburi, che ha consentito di confinare la contaminazione e di ridurre progressivamente ed in maniera significativa l’area interna ed esterna al Centro olio Val d’Agri inizialmente interessata dalla presenza di surnatante. A tale proposito si ribadisce che la contaminazione ha interessato principalmente un’area all’interno del Centro olio Val d’Agri e comunque all’interno dell’area industriale di Viggiano».
«Eni inoltre – prosegue la nota – effettua sin dal 2011 – in co-presenza con l’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata (Arpab) e sulla scorta di metodi e protocolli analitici condivisi – il campionamento di acque e sedimenti dei corsi d’acqua superficiali a monte e a valle del Centro olio Val d’Agri, per l’esecuzione delle analisi biologiche, chimiche, fisiche, ecotossicologiche e microbiologiche, nonché campionamenti delle acque superficiali. Tali analisi sulle acque fatte dall’Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente della Basilicata (Arpab) e da Eni non hanno mai rilevato presenza di idrocarburi provenienti dalle attività del Centro olio Val d’Agri né all’interno del lago del Pertusillo né nel fiume Agri. La rete di monitoraggio piezometrica e dei corpi idrici superficiali intorno al Centro olio Val d’Agri, inoltre, prevede l’effettuazione di analisi in contraddittorio con Arpab ed esclude ogni contaminazione esterna».
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